Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano per Vaticannews.va
La riforma di una civiltà moderna che è “a disagio nei confronti di malattia e vecchiaia”, deve partire dal “magistero della fragilità” che i vecchi possono insegnare. Una riforma ormai indispensabile perché “l’emarginazione della vecchiaia corrompe tutte le stagioni della vita”. Lo ha sottolineato Papa Francesco nella dodicesima catechesi dedicata alla vecchiaia, ribandendo che dai vecchi dobbiamo imparare il dono di “abbandonarsi alle cure degli altri, a partire da Dio stesso”. E denunciando che una politica “tanto impegnata nel definire i limiti di una sopravvivenza dignitosa” è però “insensibile alla dignità di una affettuosa convivenza con i vecchi e i malati”
Il Papa apre la sua meditazione, che prende spunto dalla “bella preghiera” del Salmo 71, parlando della “forte tensione che abita la condizione della vecchiaia” segnata dalla debolezza “che accompagna il passaggio attraverso la fragilità e la vulnerabilità dell’età avanzata”. Un processo, lamenta l’anziano salmista, che diventa “un’occasione di abbandono, di inganno, di prevaricazione e di prepotenza, che a volte si accaniscono sull’anziano”
Una forma di viltà nella quale ci stiamo specializzando in questa nostra società. In questa cultura dello scarto, gli anziani sono messi da parte e soffrono queste cose. Non manca, infatti, chi approfitta dell’età dell’anziano, per imbrogliarlo, per intimidirlo in mille modi.
E’ il dramma, raccontato spesso dai media, degli anziani raggirati “per impadronirsi dei loro risparmi”, o “lasciati privi di protezione e abbandonati senza cure”, oppure “offesi da forme di disprezzo e intimiditi perché rinuncino ai loro diritti”. Anche nelle famiglie, lamenta Francesco, “accadono tali crudeltà”.
Gli anziani scartati, abbandonati nelle case di riposo, senza che i figli vadano a trovarli o se vanno, vanno poche volte all’anno. L’anziano messo proprio all’angolo dell’esistenza. E questo succede: succede oggi, succede nelle famiglie, succede sempre. Dobbiamo riflettere su questo.
L’intera società, quindi, per il Pontefice “deve affrettarsi a prendersi cura dei suoi vecchi, sempre più numerosi, e spesso anche più abbandonati”.
Quando sentiamo di anziani che sono espropriati della loro autonomia, della loro sicurezza, persino della loro abitazione, comprendiamo che l’ambivalenza della società di oggi nei confronti dell’età anziana non è un problema di emergenze occasionali, ma un tratto di quella cultura dello scarto che avvelena il mondo in cui viviamo.
Le conseguenze di questo, prosegue Papa Francesco, “sono fatali”. La vecchiaia perde la sua dignità, e “si dubita persino che meriti di continuare”. Così, “siamo tutti tentati di nascondere la nostra vulnerabilità, di nascondere la nostra malattia, la nostra età, la nostra vecchiaia, perché temiamo che siano l’anticamera della nostra perdita di dignità”.
Domandiamoci: è umano indurre questo sentimento? Come mai la civiltà moderna, così progredita ed efficiente, è così a disagio nei confronti della malattia e della vecchiaia? E come mai la politica, che si mostra tanto impegnata nel definire i limiti di una sopravvivenza dignitosa, nello stesso tempo è insensibile alla dignità di una affettuosa convivenza con i vecchi e i malati?
L’anziano del salmo, “che vede la sua vecchiaia come una sconfitta”, però, sottolinea il Papa, “riscopre la fiducia nel Signore. Sente il bisogno di essere aiutato”. E si rivolge a Dio.
L’invocazione testimonia la fedeltà di Dio e chiama in causa la sua capacità di scuotere le coscienze deviate dalla insensibilità per la parabola della vita mortale, che va custodita nella sua integrità.
In effetti, commenta amaro Francesco, “la vergogna dovrebbe cadere su coloro che approfittano della debolezza della malattia e della vecchiaia”. L’anziano, invece, “riscopre la preghiera e ne testimonia la forza. Gesù infatti, nei Vangeli, “non respinge mai la preghiera di chi ha bisogno di essere aiutato”.
Gli anziani, a motivo della loro debolezza, possono insegnare a chi vive altre età della vita che tutti abbiamo bisogno di abbandonarci al Signore, di invocare il suo aiuto. In questo senso, tutti dobbiamo imparare dalla vecchiaia: sì, c’è un dono nell’essere vecchi inteso come abbandonarsi alle cure degli altri, a partire da Dio stesso.
C’è allora, conclude il Pontefice, un “magistero della fragilità”, che non vanno nascoste, perchè “sono vere”, un magistero che la vecchiaia può “rammentare in modo credibile per l’intero arco della vita umana”.
Questo magistero apre un orizzonte decisivo per la riforma della nostra stessa civiltà. Una riforma ormai indispensabile a beneficio della convivenza di tutti. L’emarginazione – concettuale e pratica – della vecchiaia corrompe tutte le stagioni della vita, non solo quella dell’anzianità.
Ognuno di noi, prosegue a braccio Papa Francesco, “può pensare oggi agli anziani della famiglia, come io mi rapporto con loro, nel ricordo, vado a trovarli, li rispetto”.
Gli anziani che sono nella mia famiglia, pensiamo a papà, mamma, nonno, nonna, zia, amici… Li ho cancellati dalla mia vita o vado da loro a prendere saggezza? La saggezza della vita. Ricordati: anche tu sarai anziano o anziana. La vecchiaia viene per tutti. E come tu vorresti essere trattato nel momento della vecchiaia, tratta tu gli anziani oggi. Sono la memoria dell’umanità, la memoria del Paese. Custodire gli anziani, che sono saggezza
Il Signore conceda agli anziani che fanno parte della Chiesa, è la preghiera finale del Papa, “la generosità di questa invocazione e di questa provocazione. Che questa fiducia nel Signore ci contagi. Per il bene di tutti”.
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