R. – Significa fare quello che ha fatto il Sinodo con famiglie ma con i giovani: accompagnarli molto, ascoltarli molto, farsi da loro interpellare perché divengano le nostre sentinelle e contemporaneamente dare loro quella speranza e quel coraggio che ce la possono fare.
D. – Il convegno vuole far conoscere le molteplici azioni che le diocesi portano avanti in tutto il Paese. Può parlarcene?
R. – Sostanzialmente sono tre le cose. La prima è il progetto “Policoro” che si sta diffondendo ormai in tutta Italia. La seconda sono i prestiti di solidarietà, di microstrutture che sono realizzate dalle diocesi in molteplici forme. E terzo elemento molto importante è la capacità di organizzarli, di aiutarli, di sostenerli, di dire “coraggio”. Perché ciò che manca non è la finanza ma è la speranza. E questa non si compra in una banca. La banca poi sostiene ma la speranza si prende dal cuore, da un cuore innamorato di Dio, da un cuore sostenuto da fratelli che lo aiutano, da un prete che sta accanto. Come le “Casse rurali”, 100 anni fa, sono nate dopo la Rerum novarum, dalla Chiesa, oggi, possono essere le stesse identiche figure che accompagnano i giovani con laici preparati. E’ un momento importantissimo per la Chiesa italiana perché attualizza alla nostra realtà giovanile l’emozione con cui il Sinodo ha guardato alle famiglie ferite. Ci sono ferite non solo per motivi di affettività ma, oggi, tantissimo anche per motivi di precarietà sociale e lavorativa.
D. – Infatti, il convegno mette l’accento sulla precarietà, quindi è una condizione che conoscono molto bene i giovani…
D. – Quindi essere protagonisti e autori del proprio futuro…
R. – Sì, è chiaro che i livelli sono diversi. C’è quello motivazionale dato dalla Chiesa; c’è quello professionale dato dalla scuola; c’è quello economico fornito dal governo e dalle attività amministrative; c’è quello relazionale, costruito con sindacati che accompagnano; c’è quello delle associazioni, tipo le Acli e le altre realtà laicali, perché il convegno è anche fatto dai laici e dalla pastorale familiare, non solo dalla pastorale del lavoro. Quindi tutti insieme. E’ molto bello, molto unitario. Direi che è affascinante e che può aprire nuove strade per la pastorale in Italia con la stessa modalità con cui il Sinodo ha guardato alle famiglie ferite, noi guardiamo alle famiglie precarie.
D.- Fra i principali temi al centro del convegno, il dramma del lavoro e il progetto familiare: in questi tempi di crisi cosa significa progettare una famiglia per un giovane?
R. – Il convegno vuole appunto guardare con la stessa modalità di speranza a chi un lavoro non ce l’ha ma che intende, appoggiato e accompagnato, costruirsi una famiglia. Anzitutto invita i giovani a non dilazionare troppo la scelta di fare una famiglia, anche in tempi di precarietà: con quello che si può fare, con quello che già si può, anche se precariamente, fissare comunque la data del matrimonio e rischiare, con la mano di Dio che ci aiuta, la Provvidenza, il sostegno delle famiglie più grandi: cioè, andare avanti nel fare famiglia.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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