Si dibatte da tempo del diritto all’oblio, specie da quando siamo entrati nell’era informatica. Questo, perché «è giusto punire chi sbaglia, ma si ha anche il “diritto” a che gli errori del passato non gravino per sempre sulla reputazione della persona». Così il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore, intervenendo il 13 novembre a chiusura del convegno sul tema «Il sigillo confessionale e la privacy pastorale», promosso dalla Penitenzieria Apostolica, nel Palazzo romano della Cancelleria.
Nell’ordinamento della giustizia divina, ha spiegato il porporato, questo diritto all’oblio è «da sempre riconosciuto a ogni penitente che, con cuore umile e contrito, si accosta al sacramento della riconciliazione». Infatti, dopo l’assoluzione impartita dal confessore, «Dio ricco di misericordia non ricorda più il peccato del penitente, perché è stato definitivamente cancellato dalla grandezza del suo amore».
Il penitenziere maggiore ha poi sottolineato che durante i lavori del convegno, soprattutto negli interventi dei monsignori Nykiel e Jaeger e di don Carlotti, era emerso «chiaramente come nell’ambito del sigillo e del segreto sacramentale la Chiesa ha elaborato nel corso dei secoli un’esperienza ricchissima e una normativa dettagliata e rigorosa, volta a tutelare e proteggere quella che si può considerare senz’altro la forma più alta del segreto, che riguarda in particolare ogni sacerdote confessore». Questa normativa, ha detto il cardinale, è alla base «del più ampio segreto ministeriale dei sacerdoti e ha fortemente orientato la normativa stessa degli ordinamenti civili in tema di segreto professionale». Infatti, quasi tutti gli ordinamenti democratici assicurano una certa tutela al segreto professionale, ciò esprime «l’interesse non meramente privato ma pubblico, ovvero di bene comune, soggiacente a questa materia».
Il porporato ha quindi proposto alcuni passi significativi dei temi trattati dai relatori. In particolare, ha ricordato come il carmelitano Léthel abbia ribadito che «la confessione e l’accompagnamento spirituale sono i principali mezzi della formazione nella sua dimensione più personale e più interiore». Di don Ferrari ha fatto notare come «nel mondo giovanile emerge un diffuso bisogno di ascolto, di relazione autentica nella verità, di misericordia, di orientamento e di salvezza». Riguardo a don Gagliardi, il cardinale ha messo in evidenza la sua affermazione che «la giustizia è un altro modo in cui Dio ama, ossia un altro modo in cui Dio vuole il bene degli uomini». Per questo, ha concluso, è «necessario sottolineare che quando Dio usa giustizia, ama. Una delle forme di amore è rispettare la giustizia».
L’Osservatore Romano, 14 novembre 2014.