Durante l’incontro con sacerdoti, le religiose, i seminaristi e le loro famiglie Francesco ricorda la piaga del narcotraffico: «Medellin mi ricorda le vite dei giovani distrutte dai sicari della droga». E ammonisce: “L’abuso dei bambini non può trovare spazio nella nostra comunità”
Ultimo appuntamento a Medellín, è stato l’incontro con i sacerdoti, i consacrati, i seminaristi e i loro familiari nel Centro eventi La Macarena. Dopo le testimonianze di un sacerdote, una religiosa di clausura e di una famiglia, il Papa ha preso la parola prendendo spunto dal Vangelo della vite e i tralci: la vera vocazione è restare sempre uniti a Cristo. Cita il Documento di Aparecida: “Conoscere Gesù è il più bel regalo che qualunque persona può ricevere; averlo incontrato è per noi la cosa migliore che ci è capitata nella vita, e farlo conoscere con le parole e opere è per noi una gioia”.
Il Papa si rivolge ai giovani: “Molti di voi” – dice – “avete scoperto Gesù vivo nelle vostre comunità; comunità con un fervore apostolico contagioso, che entusiasmano e suscitano attrazione. Dove c’è vita, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, nascono vocazioni genuine; la vita fraterna e fervente della comunità è quella che suscita il desiderio di consacrarsi interamente a Dio e all’evangelizzazione”. Ma Francesco parla anche dei giovani catturati e distrutti dalla droga e prega per la conversione di quanti devastano tante vite. Tuttavia – sottolinea il Papa – “sono molti i giovani che si mobilitano insieme di fronte ai mali del mondo
e si dedicano a diverse forme di militanza e di volontariato. Quando lo fanno per amore di Gesù, sentendosi parte della comunità, diventano ‘messaggeri della fede’, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra”.In Colombia – osserva ancora il Papa – le vocazioni crescono in un contesto pieno di contraddizioni e di violenza fratricida: “Ci piacerebbe avere a che fare con un mondo, con famiglie e legami più sereni, ma siamo dentro questa crisi culturale, e in mezzo ad essa, tenendo conto di essa, Dio continua a chiamare”. Sì, “Dio continua chiamare anche nel mezzio di questa crisi!”. Dio “cambia il corso degli avvenimenti chiamando uomini e donne nella fragilità della storia personale e comunitaria. Non abbiamo paura, in questa terra complessa” perché “Dio ha sempre fatto il miracolo di generare buoni grappoli, come le buone focacce a colazione. Che non manchino vocazioni in nessuna comunità, in nessuna famiglia di Medellín!”.
La vocazione – ricorda il Papa – deve essere innestata in Gesù: “Le vocazioni di speciale consacrazione muoiono quando vogliono nutrirsi di onori, quando sono spinte dalla ricerca di una tranquillità personale e di promozione sociale, quando la motivazione è ‘salire di categoria’, attaccarsi a interessi materiali, che arriva anche all’errore della brama di guadagno”. Il papa ripete quanto già detto in altre occasioni: “Il diavolo entra dal portafoglio, sempre. Questo non riguarda solo gli inizi, tutti dobbiamo stare attenti perché la corruzione negli uomini e nelle donne che sono nella Chiesa comincia così, poco a poco, e poi – lo dice Gesù stesso – mette radici nel cuore e finisce per allontanare Dio dalla propria vita”.
Occorre rimanere in Gesù, essere uniti a Lui. Innanzitutto “toccando l’umanità di Cristo”. Cioè, “con lo sguardo e i sentimenti di Gesù, che contempla la realtà non come giudice, ma come buon samaritano
; che riconosce i valori del popolo con cui cammina, come pure le sue ferite e i suoi peccati; che scopre la sofferenza silenziosa e si commuove davanti alle necessità delle persone, soprattutto quando queste si trovano succubi dell’ingiustizia, della povertà disumana, dell’indifferenza, o dell’azione perversa della corruzione e della violenza”. E poi “con i gesti e le parole di Gesù, che esprimono amore ai vicini e ricerca dei lontani; tenerezza e fermezza nella denuncia del peccato e nell’annuncio del Vangelo; gioia e generosità nella dedizione e nel servizio, soprattutto ai più piccoli, respingendo con forza la tentazione di dare tutto per perduto, di accomodarci o di diventare solo amministratori di sventure”.A braccio il Papa aggiunge: “Quante volte ascoltiamo uomini e donne consacrati, che sembra che invece di amministrare gioia, crescita, vita distribuiscono disgrazie e passano il tempo a lamentarsi delle disgrazie di questo mondo: è la sterilità di chi è incapace di toccare la carne sofferente di Gesù”.
Rimanere in Gesù contemplando la sua divinità, cioè “suscitando e sostenendo la stima per lo studio che accresce la conoscenza di Cristo, perché, come ricorda sant’Agostino, non si può amare chi non si conosce. Privilegiando per questa conoscenza l’incontro con la Sacra Scrittura, specialmente il Vangelo, dove Cristo ci parla, ci rivela il suo amore incondizionato al Padre, ci contagia la gioia che sgorga dall’obbedienza alla sua volontà e dal servizio ai fratelli”. E ribadisce: “Chi non conosce le Scritture, non conosce Gesù. Chi non ama le Scritture, non ama Gesù. Diamo tempo a una lettura orante della Parola!, ad ascoltare in essa che cosa Dio vuole per noi e per il nostro popolo”. “Che tutto il nostro studio ci aiuti ad essere capaci di interpretare la realtà con gli occhi di Dio, non sia uno studio evasivo rispetto a ciò che vive la nostra gente e neppure segua le onde delle mode e delle ideologie”.
Il Papa con forza invita alla preghiera, come “la parte fondamentale della nostra vita e del nostro servizio apostolico”: “La preghiera ci libera dalla zavorra della mondanità, ci insegna a vivere in modo gioioso, a scegliere tenendoci lontani dalla superficialità, in un esercizio di autentica libertà, e nella preghiera impariamo a essere liberi. La preghiera ci toglie dalla tendenza a centrarci su noi stessi, nascosti in un’esperienza religiosa vuota, e ci conduce a porci con docilità nelle mani di Dio per compiere la sua volontà e corrispondere al suo progetto di salvezza. E nella preghiera, voglio consigliarvi una cosa, anche: chiedete, contemplate, ringraziate, intercedete ma anche abituatevi ad adorare. Non è molto di moda, adorare. Abituatevi ad adorare. Imparare a adorare in silenzio. Imparate a pregare così”.
Invita a ricordare sempre che siamo tutti i peccatori: “Guai al religioso, ai consacrati, ai sacerdoti, alla suora che vivono una faccia di santino! Tutti siamo peccatori: tutti. E abbiamo bisogno del perdono e della misericordia di Dio per rialzarci ogni giorno”.
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Se rimaniamo in Gesù – aggiunge il Papa – “la sua gioia sarà in noi. Non saremo discepoli tristi e apostoli avviliti”. Al contrario: “rifletteremo e porteremo la gioia vera, quella piena che nessuno potrà toglierci, diffonderemo la speranza di vita nuova che Cristo ci ha donato. La chiamata di Dio non è un carico pesante che ci toglie la gioia”. E conclude: “Dio non ci vuole sommersi nella tristezza e nella stanchezza che vengono dalle attività vissute male, senza una spiritualità che renda felice la nostra vita e persino le nostre fatiche. La nostra gioia contagiosa dev’essere la prima testimonianza della vicinanza e dell’amore di Dio. Siamo veri dispensatori della grazia di Dio quando lasciamo trasparire la gioia dell’incontro con Lui”.
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