“In Asia si deve andare. Perché Papa Benedetto non ha avuto tempo di andare in Asia ed è importante”.
È il 28 luglio dell’anno scorso, la Gmg brasiliana si è appena conclusa e mentre l’aereo sul quale conversa amabilmente con i giornalisti sta lasciando il continente americano per riportarlo in quello europeo, Papa Francesco a un tratto spinge lo sguardo ancora più a oriente. Nelle sue parole c’è l’impulso personale di un pastore abituato a considerare centro dalla sua missione ogni periferia, ma c’è in filigrana anche la forza di una “visione”, quella che 15 anni fa, alla vigilia del Giubileo, Giovanni Paolo II affermava a chiare lettere nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Asia: “Come nel primo millennio la Croce fu piantata sul suolo europeo, nel secondo millennio su quello americano e africano, nel terzo millennio si potrà sperare di raccogliere una grande messe di fede in questo continente così vasto e vivo”. Il Papa che tra un mese e mezzo sarà proclamato Santo parlava per esperienza, avendo per due volte – nel maggio dell’84 e nell’ottobre dell’89 – raggiunto la parte meridionale della penisola divisa dal 38.mo parallelo e soprattutto da una mai sopita rivalità fratricida. Papa Francesco si prepara a seguirne le orme 25 anni dopo, avendo in cuore un pensiero ben definito, già espresso il 13 gennaio scorso nell’udienza al Corpo diplomatico accreditato in Vaticano:“In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose”. Un viaggio dunque per parlare di pace in una terra che vive una guerra fredda da 50 anni e per abbracciare i giovani protagonisti di quella che può essere considerata una sorta di “Gmg” asiatica. Ma nel cuore di Papa Francesco c’è e ci sarà soprattutto la sorte della piccola Chiesa locale, minoranza che di tanto in tanto le cronache mostrano viva e intraprendente e che, come tutte le Chiese di missione, siede sulle spalle dei giganti che l’hanno fondata a prezzo del sangue. Questo particolare riconoscimento arriverà proprio da Papa Francesco che, nel corso della visita, eleverà agli onori degli altari il Servo di Dio Paolo Yun Ji-chung, laico, e 123 suoi compagni, uccisi in odio alla fede tra il 1791 e il 1888, per i quali il Papa stesso aveva firmato un mese fa il decreto di Beatificazione.
Da Seul, il cardinale Andrew Yeom Soo-jung ha subito ringraziato con un messaggio Papa Francesco “per aver ricordato i giovani dell’Asia e i fedeli coreani e per aver deciso – scrive – di intraprendere un così lungo viaggio nel nostro Paese”. Nella Messa di ringraziamento per la creazione dei nuovi cardinali, rivela il porporato, “il Santo Padre mi ha rivolto parole affettuose dicendomi che egli veramente ama la Corea”. “Prego – conclude – affinché la visita di Papa Francesco porti riconciliazione e pace nella penisola coreana. Spero che questa possa essere un’occasione per tutta l’Asia di sentire la pace di Nostro Signore. Spero anche che questa visita possa essere occasione perché i poveri e gli emarginati ritrovino la speranza”. a cura di Emanuela Graziosi
* La fonte dell’articolo è tratta da: radio vaticana.it
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