La storia di suor Mariachiara Ferrari che ogni mattina, per trenta giorni, ha lasciato il suo abito francescano negli armadietti del pronto soccorso di Piacenza.
Riportiamo l’intervista pubblicata su AgenSIR.it – di Filippo Passantino
Suor Mariachiara per trenta giorni ha indossato il camice e i panni quotidiani della sua vita precedente, quella di medico, specializzato in medicina interna. Un mese al servizio degli ammalati di Covid-19.
Era il 12 marzo, quando la francescana alcantarina, 36 anni, ha iniziato il suo lavoro nella struttura dell’Ospedale di Piacenza, dedicandosi alla cura di persone che avevano contratto il Coronavirus.
Tutto è cominciato dai messaggi che circolavano nelle chat con gli ex colleghi: richieste di aiuto, perché il contagio cresceva e il numero dei medici in servizio non era sufficiente. Così lei, suora, si è sentita interpellata da questo bisogno.
E, dopo l’ok delle superiore, ha lasciato il convento di Maglie (Lecce) ed è tornata in corsia, a Piacenza, in una delle prime zone in Italia colpite dalla pandemia, dove ha sostituito i colleghi che si ammalavano.
Quella di Mariachiara è una storia di dono e servizio, di orme seguite, di fiaccole accese, di spoliazione. Di abiti profumati e riposti negli armadi per indossare le vesti della speranza, pregne di sudore e consolazione. Semi sparsi che hanno dato frutto nel giorno della Resurrezione, il 12 aprile, domenica di Pasqua, in cui la dottoressa è tornata interamente alla sua vita da religiosa.
ECCO ALCUNI RICORDI DI SUOR MARIACHIARA DI QUEI MOMENTI:
“La voce dei familiari che mi chiedevano di dire le ultime parole ai loro parenti, dei figli che mi chiedevano di accarezzare la loro madre… Questi sono stati tra i momenti toccanti che il cuore conserva”.
Nelle parole di suor Mariachiara una convinzione profonda. “Quest’esperienza mi ha messo davanti alla necessità della resurrezione. Vedere sfilare quei camion dell’esercito senza pensare a un ‘arrivederci’ renderebbe tutto invivibile. Tanti di quei pazienti riconoscevano di non essere soli in quello che stavano vivendo. Avevano una serenità che sostituiva la paura”.
“Il lockdown ha tolto tutto, ma ha lasciato ciò che più conta: la Parola di Dio per la nostra vita e il tesoro delle relazioni”.
Da quest’esperienza la religiosa-dottoressa conserva un insegnamento: “Di fronte all’assurdo, alla mancanza di risposte, abbiamo sperimentato tutti che il senso più autentico della vita rimane quello del dono di sé, lasciandoci svegliare dal bisogno dell’altro. A volte, quando le tenebre sono così fitte che sembra che anche il Padre ci abbia abbandonato, Gesù ci ha mostrato una via: è rimasto inchiodato alla sua Croce. L’amore resta, resta sempre, rimane al suo posto, resiste. Mentre il dolore chiede di essere affrontato e vissuto, non di essere anestetizzato”. Fonte agensir.it
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