Il dolore della figlia: «Ti sei sacrificato per i tuoi pazienti».
Giovanni Tommassino, medico di base di Castellammare di Stabia, ha contratto il Covid-19 curando e ad assistendo i suoi pazienti in piena emergenza. L’uomo aveva 61 anni ed è scomparso una settimana fa.
Oggi resta il dolore dei familiari e dei suoi assistiti per quella burocrazia troppo lenta e il calvario in tre ospedali diversi. Giovanni Tommassino è uno dei 107 medici italiani morti a causa del virus.
«Cari amici – scriveva in un post su Facebook il 22 marzo – ho avuto la conferma della positività al tampone… Adesso sono ricoverato in attesa di trasferimento in una rianimazione. Spero di tornare presto tra voi. Non uscite, è l’unica arma che avete, non potete immaginare quanto è brutto. Io dovevo uscire per forza». Il tampone aveva dato l’esito temuto, ma non era stato facile ottenerlo. C’erano volute mille insistenze nonostante a chiederlo fosse un medico a contatto con decine di pazienti ogni giorno.
Aveva bisogno dell’ossigeno da diverso tempo, ma ha dovuto attendere tre giorni per ottenere un posto in Rianimazione in un Covid Hospital. È la figlia a raccontare a “Il Mattino” l’Odissea di suo padre: «Dopo il tampone avvertì le prime serie difficoltà respiratorie. Provò a curarsi in casa, consigliandosi con amici medici. Del resto, senza l’esito del tampone non si sarebbe potuto ricoverare in un ospedale Covid. Avemmo notizie ufficiose della positività, ma non servì ad accelerare il ricovero». La situazione precipitò e il 21 marzo fu ricoverato a Sorrento, dove rimase un giorno. Poi fu trasferito al primo centro Covid disponibile. «Avrebbe voluto ricoverarsi al Rummo di Benevento, invece l’unico ospedale pronto ad accoglierlo fu quello di Scafati. Ricordo la disperata ricerca di un’ambulanza attrezzata per il biocontenimento. Per un medico sempre disponibile con tutti, quando per lui c’è stato bisogno la burocrazia ha creato solo problemi».
Nei familiari il rammarico per le cure tardive e il ricordo di un uomo che amava il suo lavoro e si è sacrificato: «È andato tutto storto. La burocrazia lunga, i tempi che hanno ritardato il ricovero in un centro Covid e quindi anche le cure. Allo studio, durante le visite, la sua unica protezione era una mascherina chirurgica. A metà marzo non si trovavano dispositivi di protezione né l’Asl ha distribuito materiale».
«Ho un vuoto incolmabile dentro me, quando sei andato via in ambulanza ti guardavo piangendo, avevo paura, tu anche ne avevi… ma non lo davi a vedere perché eri forte per noi. Mi hai salutata dall’ambulanza con uno sforzo di sorriso e sei andato via. In ospedale il tuo unico pensiero era sapere soltanto noi come stavamo, te lo sentivi che qualcosa non andava. Ci chiedesti di inviarti le nostre foto, volevi vederci in faccia… Ci ho creduto, ho pregato… l’opzione della morte non l’avevo mai considerata e mi è caduta addosso con tutta la sua potenza… Avevo capito tutto di te già da piccolina quando alle scuole elementari ci chiesero di scrivere la poesia per il papà… la mia diceva così:
“Il mio papà è una montagna di bontà
Col suo sorriso dona a tutti speranza e felicità
Aiuta gli ammalati, dona consigli agli amici
E con i bambini è molto dolce.
Questo è il mio papà: Un amico per ogni età”.
Ti descrive perfettamente questa mia poesia, per la tua generosità, per il tuo senso del dovere, perché con te non esistevano orari, feste, domeniche per fermarti… ti chiamava un tuo paziente e tu correvi. È per questo che sei andato contro ogni rischio, hai continuato seguendo il tuo pensiero e sei stato un vero eroe sacrificando te stesso, consapevole dei rischi».
Fonte leggo.it
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