Delle numerose coppie cattoliche che a Washington sono passate per l’ufficio di padre T.G. Morrow, consulente familiare, due lo hanno colpito particolarmente. Si trattava di coppie modello da diversi punti di vista: erano aperte alla vita, educavano i figli alla fede e ricevevano frequentemente i sacramenti. Però entrambi i matrimoni si sono sgretolati. La colpa? Molto semplice: la rabbia.
«La rabbia è un veleno» dice padre Morrow, teologo morale e autore di Overcoming sinful anger (Superare la rabbia peccaminosa, Sophia Press, 2014). «Se marito e moglie si arrabbiano con frequenza, questo distrugge la loro relazione. La rende tanto dolorosa che alla fine desiderano terminarla».
Quella di arrabbiarsi è una esperienza universale. È una naturale, incontrollabile risposta al comportamento altrui. A volte arrabbiarsi è giusto, ricorda padre Morrow, san Tommaso d’Aquino diceva che se l’ira si unisce alla ragione è degna di lode, però la maggior parte delle volte l’ira scivola verso il peccato, è motivata dalla volontà di rivalsa. E l’ira come peccato ha effetti devastanti sui rapporti.
«È molto importante che la gente capisca che l’arrabbiarsi in famiglia è una questione molto seria, soprattutto quando certe “esplosioni” feriscono l’altro» continua padre Morrow. Essa è così deleteria che molti esperti di matrimonio consigliano alle coppie di avere almeno cinque interazioni positive per una negativa.«La rabbia, quando esce allo scoperto malamente, è appunto un veleno e gli sposi devono essere particolarmente attenti e lavorare su questo aspetto».
Poiché il sentimento dell’ira è naturale e impossibile da evitare, padre Morrow sottolinea l’importanza di saperlo manifestare in un modo efficace e positivo. Il primo passo è: capire se vale la pena arrabbiarsi.
«La gente si arrabbia per cose piccole, insignificanti. Bisogna chiedersi: vale la pena? Se non è così, bisogna lasciar perdere, semplicemente dimenticarsene».
Se l’irritazione è giustificata e il confronto può portare qualcosa di positivo per l’altro, bisogna usare umorismo e diplomazia. Se il confronto non porta un bene per l’altro, allora, consiglia il sacerdote, può essere una buon idea offrire il fastidio al Signore come sacrificio per i propri peccati e i peccati del mondo.
«La rabbia non se ne va automaticamente con la prima buona intenzione» dice, «bisogna continuare a offrirla a Dio come sacrificio».
Questa atteggiamento non vuol dire diventare degli zerbini, incapaci di esprimere all’altro la propria insoddisfazione per le sue azioni.
Padre Morrow fa l’esempio di santa Monica, la madre di sant’Agostino. Molti degli uomini di Tagaste a quell’epoca avevano temperamenti violenti e il marito di santa Monica non faceva eccezione. Quando tornava a casa e le urlava contro, lei rimaneva calma. Fatta sbollire la rabbia del marito, gli si avvicinava e con tranquillità lo affrontava, dicendogli cosa ne pensava del suo comportamento e delle sue lamentele.
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«Era quanto di più lontano ci fosse da uno “zerbino”» commenta padre Morrow, «aveva un obiettivo chiaro, voleva diventare santa e convertire suo figlio. Perseguì i suoi fini con ardore e come risultato converti sia Agostino che il suo violento marito».
Redazione Papaboys (Fonte www.iltimone.org/Kate Veik)
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