Le parole più importanti sono “il centro non è il carisma, il centro è uno solo, è Gesù: Gesù Cristo! Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada. Tutta la spiritualità, tutti i carismi nella Chiesa devono essere ‘decentrati’: al centro c’è solo il Signore!”.
Max Weber, in particolare nell’opera Sociologia della religione, spiegava che ogni società attraversa tre fasi che ne scandiscono anche la decadenza: carismatica, tradizionale e legale-burocratica. La sequenza vuole indicare un certo depotenziamento del carisma iniziale che, dopo l’inizio sorgivo, entra in una fase di mera ripetitività e riproduzione (l’era tradizionale) e infine in quella del mero legalismo burocratico, secondo la logica del deperimento e quindi della morte.
Il termine carisma (grazia, dono) indica, nel discorso del Papa, un modo specifico di vivere il cristianesimo che si presenta allorché un cristiano – un “fondatore” – segue Cristo in modo “nuovo”. Certamente Giussani è stata una di queste personalità, e infatti l’incontro con il Papa era per celebrare i dieci anni della sua morte. Ciò che vale per Giussani, però, vale per tutti: Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Teresa di Calcutta, Kiko Arguello, Chiara Amirante e tanti tanti altri.
Visto in chiave laica, il concetto di carisma è molto simile a quello di brand, marca o simili. Per spiegarmi posso dire che Steve Jobs, fondando la Apple, ha messo in quell’azienda quel qualcosa di specifico, di rivoluzionario, che l’ha condotta ad essere quello che è, e che Tim Cook – suo successore- cerca di conservare e di migliorare. Quando muore un “fondatore” cioè una di quelle personalità che, pur in modi diversissimi, imprimono dei cambiamenti duraturi nella storia attraverso un seguito di persone, coloro che lo seguono cercano di tenerne vivo il messaggio, l’idea, il carisma e inizia in tal modo, secondo Max Weber, un processo di decadimento che condurrà sempre, prima o poi, alla fine – alla morte – della realtà che era nata agli inizi del processo. Non importa si tratti di Romolo e Remo o di Antonio Gramsci o di Steve Jobs: i successori, il “clero” inteso anche laicamente come l’insieme dei funzionari che si preoccupano del buon andamento dell’istituzione, cercano, secondo modalità che si ripetono inesorabilmente e che riguardano “il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale”, di tener vivo un fiume che però è destinato ad inaridirsi, visto che la sorgente si è seccata. Sembra che questa teoria di Weber non abbia eccezioni.
L’unica sarebbe la chiesa cattolica dove, in realtà, le tre fasi (carismatica, tradizionale, burocratica) sarebbero da duemila anni presenti contemporaneamente. In essa, infatti, è continuo il nascere, il vivere e il morire di singole realtà ecclesiali: quindi, al proprio interno, il pensiero weberiano è confermato ma, misteriosamente, non nel complesso della chiesa che, nonostante la logica, continua ad esistere. Il motivo starebbe proprio in quelle parole del Papa che ho citato all’inizio e che forse sono le più incomprensibili per un non credente: quelle dove dice che “il centro è Cristo”.
Esiste in Francesco, cioè, la convinzione che Cristo non sia esaurito dal “suo messaggio”, dall’intuizione iniziata duemila anni fa, ma che sia Qualcuno presente ora, oggi, adesso, Qualcuno che è vicino a ciascuno, ed è uguale che sia uno qualsiasi oppure il Papa. Cristo è Uno che ha ora con l’uomo d’oggi una prossimità identica a quella di duemila anni fa con Pietro, Giovanni e poi Paolo. Max Weber quindi ha ragione, non ha torto. La semplice spiegazione è che il vero iniziatore del processo non è Uno vissuto duemila anni fa ma Uno che chiunque può continuamente incontrare se solo ha la libertà e l’amore per farlo.
Non uso a caso il termine libertà. Come ha detto implicitamente il Papa nell’incontro del 2014 coi movimenti ecclesiali, la libertà personale dei singoli è ciò che il burocrate più teme dato che, con le migliori intenzioni, cerca, con la stabilità della tradizione, del “si è sempre fatto così” (la seconda fase weberiana), di tener viva l’istituzione cui appartiene. Il burocrate è così, ma non il santo. Nessun fondatore ha mai avuto principalmente a cuore il proprio carisma perché il cuore del fondatore cerca Cristo: e la specificità del messaggio ne è solo una conseguenza. Mi ha sempre infinitamente colpito come Francesco d’Assisi, ai frati che in punto di morte lo circondavano disse: “Io ho fatto la mia parte, la vostra, Cristo ve la insegni” indirizzandoli appunto all’incontro personale con Gesù e non alla fedeltà al suo dettato, o carisma, o regola, o statuti o qualsiasi altro modo con cui lo si voglia chiamare.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffington Post
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