Nelle prime due settimane di giugno a Tal Abyad, al confine fra Siria e Turchia, si è combattuta una delle più dure battaglie fra i guerriglieri curdi e i combattenti Isis. Decine di migliaia di civili sono rimasti intrappolati al confine bloccato dai soldati turchi, cercando di passare a tutti costi. Questo è il racconto del fotografo turco dell’Afp Bulent Kilic, che ha assistito al loro dramma giorno per giorno. Di seguito le foto pubblicate sul blog dell’agenzia fotografica francese.
Dall’inizio di giugno siamo qui a Akçakale, al confine turco-siriano. Davanti a noi la città siriana di Tal Abyad, al centro di una feroce battaglia tra i combattenti dello Stato islamico che la occupa e le forze curde che cercano di liberarla. Migliaia di persone messe in fuga dai combattimenti cercano di raggiungere la Turchia, dove oltre due milioni di siriani hanno già trovato rifugio. Ma il 10 giugno, dopo aver lasciato entrare più di 13.500 abitanti di Tal Abyad, le autorità turche, per paura di essere sopraffatte dal massiccio afflusso, hanno chiuso il confine.
Sabato 13 giugno: la situazione è sempre più drammatica. Siamo in procinto di spostarci vicino al confine in cerca di profughi, quando apprendiamo che molti siriani si sono riuniti davanti al posto di frontiera di Akçakale, nella speranza di entrare in Turchia. Andiamo lì e vediamo una folla enorme raccolta nei campi. Fa un caldo soffocante. Le forze turche usano cannoni ad acqua e sparano in aria per cercare di spingerli lontano dalla recinzione.
La sera, vediamo un gruppo di combattenti dell’Isis che si avvicina al confine. Sono sette o otto. Ci guardano mentre scattiamo delle foto. Ridono, fanno grandi gesti nella nostra direzione. Stanno cercando di dirci qualcosa, o si prendono gioco di noi? Alla folla viene ordinato di disperdersi e tornare a Tal Abyad. Dopo venti minuti i militari se ne vanno, e i richiedenti asilo ritornano ad assieparsi, esattamente come prima.
Il giorno dopo, domenica 14 giugno, torniamo al posto di frontiera, ad Akçakale. Ci aspettiamo di vedere una folla dalla parte siriana, ma non c’è nessuno. Secondo le informazioni che raccogliamo i jihadisti impediscono alla popolazione di avvicinarsi alla Turchia. Comincio a pensare che siamo arrivati fin qui per nulla.
Improvvisamente vedo apparire delle persone in cima a una collina. In un primo momento mi dico che sono solo abitanti dei villaggi che passano nelle vicinanze. Ma arrivano altre persone e altre ancora. Ben presto, sono migliaia, uomini, donne, bambini, che portando delle borse con i loro effetti personali, spuntano da dietro la collina e si dirigono verso il confine.
Tutto questo accade nel giro di cinque minuti, come se l’apparizione di questa marea umana fosse l’effetto speciale di un film hollywoodiano.
Vedo persone che accorrono dalla parte turca per aiutare quei poveretti. Mi metto a correre con loro, senza prestare attenzione ai soldati turchi che ci gridano dietro. I siriani hanno con loro degli strumenti per tagliare la recinzione di confine. Dapprima, la breccia ha larghezza appena sufficiente a consentire il passaggio di una persona. Tutti urtano, spingono per cercare di entrare in Turchia attraverso quel piccolo varco.
Infine, i siriani riescono a far cadere un’intera sezione della recinzione. Altri preferiscono scalarla. Quasi tutte le donne hanno bambini, neonati che passano di mano in mano attraverso il filo spinato. Ci sono talmente tanti bambini… è inimmaginabile. Che ricordi di infanzia avranno!
Qualcuno si lacera i vestiti sul filo spinato, ma per fortuna, che io sappia, nessuno si fa male seriamente.
Dopo la recinzione, c’è un secondo ostacolo: le trincee di confine. Alcuni vi si gettano, cercando di attraversarle da soli. Per evitare di creare un pericoloso collo di bottiglia, le autorità turche alla fine decidono di aprire il confine.
Da quattro anni fotografo profughi siriani al confine. Ho assistito alla battaglia di Kobane, che ha provocato l’esodo di 200.000 persone. Ma questa volta è diverso. Non ho mai visto nulla di simile, migliaia di persone disperate in fuga dal loro Paese attraverso un varco troppo stretto.
Posso vedere la paura nei loro occhi. Piangono, si stringono. Le famiglie fanno sforzi disperati per stare insieme, per non perdere un bambino in mezzo alla folla.
Vedo anche dei combattenti curdi più vicini al punto in cui siamo. Di lontano si sentono spari di mortaio. Quando si lavora sul confine di un Paese in guerra bisogna fare attenzione. Normalmente i militari turchi ci proibiscono di avvicinarci al recinto di filo spinato, e io rispetto la consegna. Ma qui è tutto diverso.
In mezzo a questo caos, le autorità ci lasciano fare il nostro lavoro. Quando duemila profughi oltrepassano contemporaneamente il confine, semplicemente non c’è più regola che tenga.
A cura di Redazione Papaboys fonte: La Stampa
[traduzione di Carla Reschia]
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