Pregare gli Angeli significa entrare in contatto con esseri viventi, capaci di iteragire, di conoscere e di amare. Il loro essere “puri spiriti” infatti non significa che sono una sorta di “fantasmi”, anzi, in essi si trovano le proprietà dello spirito umano in grado ancora più eminente.
Nei Padri si nota la preoccupazione di non confondere la natura degli spiriti angelici con quella di Dio, il quale solo può dirsi a tutti gli effetti puro Spirito. La sua trascendenza, infatti, rimane inalterata e irraggiungibile per qualsiasi creatura. In quest’ottica, attenta a salvaguardare la distanza tra Creatore e creatura, alcuni Padri hanno finito per affermare una certa corporeità negli Angeli. Persino san Bernardo di Clairvaux scriveva: «Sembra che i Padri abbiano avuto pareri diversi su questa questione, e non vedo chiaro quale delle due sentenze tenere»; «Non voglio poi che pretendiate che io vi dica se gli angeli abbiano per natura dei corpi angelici propri, e siano animali come gli uomini: questi corpi poi li mutino e cambino nella forma e apparenza che vogliono, quando vogliono apparire, condensandoli e solidificandoli a piacimento, mentre, a motivo della loro vera natura e sostanza sottile sono impalpabili e sfuggono ai nostri sguardi; oppure, consistendo essi in una sostanza spirituale semplice, assumano, quando occorre, dei corpi e, nuovamente, compiuta la loro missione, li depongano, lasciando che si dissolvano nella materia dalla quale sono stati tratti». Insomma, per i Padri era difficile separare la spiritualità dall’infinità o immensità, senza che fosse posta in gioco una certa corporeità che ne delimitasse la forma; e poiché gli Angeli non potevano di certo godere dell’immensità di Dio, ne risultava che bisognava ammettere in loro una certa corporeità, sebbene di altro genere rispetto a quella dell’uomo.
Nel testo del Vescovo di Tessalonica Giovanni, letto durante la quinta sessione del Concilio di Nicea II, si dichiarava per esempio come appartenente alla Fede cattolica l’incorporeità degli Angeli, ma si chiariva anche che tale incorporeità non andava intesa in senso assoluto, in quanto ciò competeva propriamente solo a Dio, il quale solo può dirsi incorporeo e non circoscritto. Ugualmente san Gregorio Magno asseriva che «gli spiriti angelici in comparazione ai nostri corpi sono spiriti ma in comparazione al sommo ed immenso Spirito sono corpi». E san Giovanni Damasceno dopo aver asserito la spiritualità dell’Angelo creato da Dio «secondo la sua propria immagine» e, «la loro elevazione e la loro lontananza da ogni pensiero materiale», scriveva: «È detta incorporea e immateriale, per quanto lo è in confronto a noi: ma tutto ciò che è posto in confronto a Dio, il solo inconfrontabile, è invece riconosciuto denso e materiale poiché solo il divino è realmente immateriale e incorporeo».
La Scolastica
Riguardo alla questione della natura degli Angeli, gli autori dell’Alto Medioevo non presentano sviluppi particolari. Solo con Riccardo di San Vittore ha inizio uno studio più approfondito sulla natura degli Angeli, che offrirà le basi metafisiche alla riflessione dei grandi maestri della Scolastica del XIII secolo, quali san Bonaventura e san Tommaso d’Aquino.
Riccardo, partendo dalla considerazione della scala gerarchica degli esseri, nega la possibilità all’Angelo di possedere un corpo sottile ed etereo. San Bonaventura, seguendo la sua scia scriveva: «Tra tutte le realtà create, quella che gode di una maggiore vicinanza e somiglianza con Dio è l’angelo il quale, in ragione di una tale similitudo, non può che essere una natura spirituale, giacché Dio è puro spirito assolutamente privo di corpo…». San Bonaventura definisce la natura degli Angeli come “spirituale e incorporea” specificando che fu dotata di quattro proprietà: l’essenza semplice, la distinzione personale, l’innata ragionevolezza con la memoria, l’intelletto e la volontà, e, infine, il libero arbitrio. Anche san Tommaso d’Aquino ribadisce l’assoluta spiritualità dell’Angelo. Naturalmente tra i due grandi Dottori, Bonaventura e Tommaso, ci sono delle sfumature diverse che però, essendo distinzioni di ordine filosofico, non ci sembra opportuno illustrare in questa sede.
Dunque, quando gli Angeli assumono una figura corporea non fanno altro che rivestirsi, per permissione divina, di visibilità; e ciò, o attraverso la condensazione di luce e aria, o assumendo momentaneamente l’uso di un corpo. Ciò è provato tutt’oggi ad esempio con il caso delle possessioni diaboliche, dove un angelo, in questo caso maligno, prende possesso di un corpo umano.
Gli Angeli possono mostrarsi poi anche producendo semplicemente delle immagini nella nostra fantasia o nei nostri sensi esterni, o parlare a noi attraverso i sogni, come avviene storicamente nel caso di san Giuseppe.
Tuttavia come dice lo Schebeen «di regola… si deve ritenere che la figura corporea è obbiettiva e reale». D’altra parte la stessa Sacra Scrittura distingue tra sogno e apparizione. Ad esempio, quando san Pietro venne liberato dal carcere pensava di sognare, ma una volta trovatosi fuori, capisce che realmente il Signore aveva inviato il suo Angelo per liberarlo. Allo stesso modo lo dobbiamo dire del caso del combattimento di Giacobbe con l’Angelo, dove lo scontro è reale e tangibile al punto che Giacobbe ne uscì con un’anca slogata.
Non dobbiamo però ridurre il concetto di “puro spirito” semplicemente a qualcosa che è “senza corpo”, perché questo sarebbe troppo riduttivo, ma al contrario a qualcosa di positivo e di attivo. Purtroppo nel pensiero comune si pensa che dire “spirito” equivalga a dire un nulla, un’idea sbiadita, una specie di spettro, mentre invece nella parola spirito dobbiamo vedere il massimo concentrato di realtà: lo spirito è il nucleo da cui scaturisce ogni attività. Lo stesso spirito umano, infatti, è la realtà da cui erompe la vita, il pensiero, la volontà, la forza, il calore, la potenza… E se il corpo ne resta privo, rimane freddo e senza movimento. Tutte queste proprietà che contempliamo nello spirito umano, noi le troviamo nell’Angelo in grado ancora più eminente.
Il Padre Hophan spiega: «Lo spirito, infatti, è qualcuno, non è una cosa qualsiasi; è una personalità, non un’ombra né qualcosa di sfumato. Chi tratta con uno spirito, tratta con una persona». Pregare gli Angeli, rivolgerci ad essi nelle nostre necessità, significa quindi entrare in contatto con esseri viventi, con spiriti capaci di interagire, di conoscere e di amare.
Redazione Papaboys (Fonte www.settimanaleppio.it/Padre Angelomaria Lozzer)