Sono le ultime 48 ore di diplomazia lungo l’asse New York, Londra, Berlino, Mosca, Pechino in quella che è da molti definita la più grave crisi in Europa dalla fine della Guerra Fredda. Domenica la Crimea vota l’annessione alla Russia, la comunità internazionale ripete che il referendum è «illegittimo», non rispetta il Memorandum di Budapest del 1954, il G-7 ha dichiarato in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca che non ne riconoscerà i risultati. Il problema adesso non è il destino della Crimea ma le ripercussioni che il voto può avere nel Paese, soprattutto nelle regioni orientali dove si agitano le comunità russofone, i militanti russofili e al cui confine Putin fa esercitazioni militari. Nonostante il pressing di John Kerry sul collega Serghei Lavrov oggi a Londra, il governo russo non molla: si riserva il diritto di proteggere i suoi “compatrioti” in Ucraina, dove le autorità, secondo il Cremlino, non controllano la situazione. Cosa fanno di diverso i russi dagli Americani, quando questi in nome della libertà “proteggono” i loro alleati? Lo dichiara proprio Lavrov dopo gli scontri di ieri a Donetsk, nell’est dell’Ucraina, tra dimostranti filorussi e pro-Kiev, che hanno causato la morte di una persona. «Le autorità di Kiev non controllano la situazione nel Paese. La Russia è consapevole delle sua responsabilità per la vita dei suoi concittadini e compatrioti in Ucraina e si riserva il diritto di proteggerli» si legge in un comunicato del ministero. Il comunicato cita i «tragici eventi» di ieri a Donetsk, dove «gruppi di estrema destra arrivati in città da altre parti del paese» «hanno attaccato manifestanti pacifici, scesi in piazza per mostrare il loro atteggiamento nei confronti delle posizioni distruttive di coloro che si definiscono autorità ucraine».
L’intervento russo è legale? Nel 1921 la Crimea diventa una Repubblica socialista sovietica ed è solo nel 1954 che Nikita Krushchev la annette all’Ucraina, decisione osteggiata dalla popolazione che temeva di essere minoranza nella nuova repubblica. La scelta di Khrushchev rientra nella logica sovietica di unire all’interno delle repubbliche socialiste diverse componenti nazionali, al fine di impedire a ciascuna di emergere e mettere in discussione il potere di Mosca. Con l’annessione della Crimea, a maggioranza russofona, l’Ucraina si trovava così divisa a metà tra popolazione russa e Ucraina. Nel 1991, all’indomani della caduta del regime sovietico, -commenta Matteo Zola-, un accordo tra Kiev e Mosca sancì la permanenza della Crimea all’interno dello stato ucraino. Nel 1992 la popolazione della Crimea votò per l’indipendenza ma alla fine il governo locale decise di restare parte dell’Ucraina pur con uno status di “repubblica autonoma”. L’Ucraina, tuttavia, non è uno stato federale e la Crimea non ha mai goduto di effettive autonomie. L’accordo del 1991 prevedeva che la flotta da guerra della marina russa potesse rimanere ancorata a Sebastopoli, ed è stato recentemente rinnovato fino al 2042. Il nuovo potere di Kiev ritiene valido l’accordo e la presenza della flotta russa a Sebastopoli non è stata messa in discussione dal nuovo governo. Di ingerenza politica sono in certa misura responsabili anche gli Stati Uniti che, almeno dal 2004, hanno manifestamente finanziato – attraverso una rete di organizzazioni non governative e fondazioni – i movimenti di opposizione al regime di Yanukovich.
Mosca usa tre diversi argomenti: 1-. ”le truppe paramilitari non sono russe, non obbediscono al Cremlino. Sono milizie di autodifesa” – formalmente può essere vero ma è evidente che rispondono a Mosca. Non solo: gruppi spontanei di autodifesa non potrebbero avere quel tipo di capacità organizzativa e armamenti, né una preparazione militare sufficiente. 2-. “a Kiev è andato al governo un potere fascista il cui ultranazionalismo è un pericolo per i cittadini di origine russa”– esiste nella protesta di Kiev una “anima nera” rappresentata da gruppi ultranazionalisti. Nel governo essi ricoprono alcune cariche, benché marginali. È impossibile dire, al momento, quale sarebbe la linea di governo verso le minoranze non ucraine. È però un fatto che la legge a tutela delle minoranze sia stata cancellata dal nuovo parlamento. 3-. ”Mosca ha il diritto di difendere la popolazione russa”. In Crimea i russofoni sono davvero cittadini russi, poiché hanno il passaporto russo. Inoltre la popolazione russa in Crimea è poco più della metà del totale (58%, secondo il censimento del 2011).
La risposta degli Stati Uniti: 1-. “la Russia ha stracciato tutti i trattati esistenti e tutte le regole del diritto internazionale, deve ritirare le truppe e riconoscere la legittimità delle aspirazioni di libertà del popolo ucraino”. Nella forma è corretto, nella sostanza non si può però dimenticare che il bombardamento di Belgrado e del Kosovo, come la guerra in Libia, furono condotte dalla Nato senza avallo Onu. E la guerra in Iraq fu motivata con prove poi rivelatesi false, costruite ad arte da Washington. Disse Montanelli che “ogni diritto ha il suo rovescio” e il concetto di “bellum iustum” è facile da piegare ai propri interessi. Nel caso della Crimea, metà della popolazione è russa (58%), seguita da ucraini (24,4%) e tatari (12,1%). Questi ultimi sono gli unici abitanti autoctoni della regione.
In mezzo a tante retoriche è bene guardare alla vicenda ucraina con una buona dose di realismo politico. Un realismo che vede due “blocchi” contrapposti. L’Ucraina è fondamentale per la volontà di potenza Russa, ed è per questo che Washington è interessata a spostarla nella sua orbita di influenza. Tuttavia Mosca non accetterà facilmente una Ucraina di campo occidentale, magari con basi Nato a poche centinaia di chilometri dalla capitale. Nell’era moderna il dominio non si esercita solo con le armi: l’Ucraina è un paese in bancarotta. Il Fondo monetario internazionale è pronto a elargire prestiti che saranno condizionati, come è la regola, da precise scelte politiche che Kiev dovrà operare. a cura di Francis Marrash