Tutti contro tutti, strategie, giochi di poltrone; ancora una volta è baruffa tra centrodestra e centrosinistra, senza un minimo di unità. A poche ore dalla prima votazione per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica Italiana.
La verità è che tutti Lor signori – sia chiaro – da una parte e dall’altra, hanno il terrore del voto (ma quello in caso di mancata tenuta del Governo), perchè la maggior parte tornerebbe a casa senza una poltrona e sarebbero costretti ad andare finalmente a lavorare, invece che occupare posizioni per interessi personali, come sono adesso, dalle quali rispondere ai lobbisti di turno.
Alla vigilia del primo voto per eleggere il prossimo presidente della Repubblica, il centrosinistra si è riunito alla Camera. Presenti Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Conte: “Il M5s ha 235 voti che mette a disposizione per eleggere un presidente che rappresenti gli italiani”. Letta: “Nessun nome alla Lega, li faremo con gli alleati”.
Come si elegge il Presidente della Repubblica?
Il testo a seguire è ripreso dall’Agenzia AGI.
Quello che sarà eletto da domani sarà il tredicesimo Presidente della Repubblica. Il Presidente sarà eletto in base alle regole stabilite dalla Costituzione negli articoli 83, 84, 85 e 86.
Tolti i casi eccezionali che questa volta non si presentano (dimissioni, fine della legislatura, Camere sciolte), l’elezione dovrebbe avere un iter normale che prevede la convocazione del Parlamento in seduta comune, tre votazioni a maggioranza dei due terzi e le seguenti votazioni a maggioranza assoluta, tutte rigorosamente a scrutinio segreto.
Gli elettori, che devono scrivere un nome su schede consegnate dai commessi di Montecitorio, sono dunque i senatori, i deputati e i delegati regionali (“tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze.
La Valle d’Aosta ha un solo delegato”); la platea è composta in questa legislatura di 320 senatori, 630 deputati, 58 delegati regionali. La maggioranza dei due terzi sarà di 672 voti, la maggioranza assoluta di 505. Comunemente si parla della platea elettorale come di “grandi elettori”. Può essere eletto qualunque cittadino italiano, che abbia compiuto 50 anni e goda dei diritti civili e politici.
La seduta comune è presieduta dal presidente della Camera, cui siede accanto il presidente del Senato ma senza funzioni.
La sede fisica delle votazioni è l’aula di Montecitorio; i senatori a vita, i senatori, poi i deputati e infine i delegati regionali in ordine alfabetico, sfilano sotto allo scranno del presidente e depongono la loro scheda nelle urne che si trovano dentro due cabine allestite per l’occasione. Sono previste due chiame per ogni gruppo di elettori.
Non è prevista nessuna dichiarazione in aula, né di voto né di apertura di un dibattito poiché il Parlamento in seduta comune è considerato per prassi seggio elettorale, anche se in passato questa prassi è stata contestata. Ovviamente la pandemia comporterà qualche piccola novità in queste procedure.
Subito dopo la fine delle due chiame dai banchi della presidenza si svolge lo scrutinio che prevede la lettura a voce alta dei nomi scritti sulle schede, a eccezione delle schede nulle. Per due volte il presidente della Camera ha proclamato eletto sé medesimo: è accaduto con Gronchi nel 1955 e con Scalfaro nel 1992.
Dal momento della convocazione, la seduta comune è considerata unica, al di là di quante siano le votazioni che si effettuano. Non sono dunque previste pause significative, ogni giorno si effettua almeno una votazione, anche nei giorni festivi.
Due volte questa norma ha avuto ripercussioni sulle vacanze natalizie: sia per l’elezione di Giuseppe Saragat che per quella di Giovanni Leone si tenne una chiama anche il 24 dicembre e per Saragat anche il 25 dicembre. Gli orari furono organizzati in modo da salvare il cenone della Viglia e il pranzo della Natività, il 24 dicembre 1964 si votò alle 10,30 e il giorno successivo alle 19. Nel 1971 bastò la chiama del 24 dicembre alle 9 per eleggere Leone.
Il voto come detto è segreto, ma a volte si è cercato più o meno furbescamente, di aggirare l’ostacolo. Se è ammessa la scheda bianca, che è un voto vero e proprio, è contemplata anche l’astensione come non voto.
A volte è stato usato l’escamotage di ‘segnare’ pacchetti di voto usando in modo variegato nome e cognome del candidato (iniziale del nome anteposta o posposta rispetto al cognome, solo cognome, nome per esteso).
Nel 1962, prima dell’elezione di Antonio Segni, alcuni parlamentari Dc depositarono nell’urna una scheda già segnata e il Presidente della Camera Leone dichiarò nulla tutta la votazione.
Nell’elezione che portò Scalfaro al Quirinale, nel 1992, la discrepanza tra numero di votanti e numero di schede portò alla scelta di consegnare schede bianche e timbrate dai segretari d’aula per essere poi compilate all’interno delle cabine, mai usate prima di allora. Fu quella l’occasione in cui comparvero per la prima volta le cabine, più spesso definite ‘catafalchi’.
Una volta eletto il Presidente della Repubblica il Parlamento in seduta comune viene riconvocato per assistere al la cerimonia di insediamento che prevede il giuramento sulla Costituzione e un discorso, detto appunto di insediamento.