Jahkil Jackson ha dieci anni e viene da Chicago. Insieme all’aiuto della scuola e della sua famiglia ha realizzato e distribuito ai senzatetto cinquemila ”blessing bags”, kit con beni di prima necessità. Il suo sogno è quello di poter costruire una casa per tutti.
La prima volta che Jahkil Jackson ha visto un clochard aveva cinque anni: aveva accompagnato sua zia a distribuire zuppe calde al Lower Wacker Drive, una strada a più livelli che corre lungo il fiume di Chicago, diventata nel tempo il rifugio di tanti homeless. ”Quando tornò a casa quella sera era molto scosso – ha spiegato Natae Jackson, madre del bambino, in un’intervista al Chicago Tribune – voleva capire come quelle persone fossero finite a vivere per la strada. Diceva che voleva comprare una casa per tutti”.
Cinque anni dopo Jahkil ha dato vita al progetto I am rivolto ai clochard, ideando la realizzazione e la distribuzione di cinquemila borse – chiamate blessing bags – contenenti un kit per l’igiene personale, sapone, dentifricio, shampoo, e alcuni snack. ‘Vorrei che i senzatetto fossero riconosciuti come persone. Spesso restano invisibili, io voglio che le persone sappiano che esistono – ha detto Jahkil in un’intervista al Chicago Tribune – quando parlo con altri bambini nelle scuole dico sempre di non aspettare di diventare adulti per essere grandi, si può essere fantastici anche da bambini!”.
La prima volta che Jahkil Jackson ha visto un clochard aveva cinque anni: aveva accompagnato sua zia a distribuire zuppe calde al Lower Wacker Drive, una strada a più livelli che corre lungo il fiume di Chicago, diventata nel tempo il rifugio di tanti homeless. ”Quando tornò a casa quella sera era molto scosso – ha spiegato Natae Jackson, madre del bambino, in un’intervista al Chicago Tribune – voleva capire come quelle persone fossero finite a vivere per la strada. Diceva che voleva comprare una casa per tutti”.
Cinque anni dopo Jahkil ha dato vita al progetto I am rivolto ai clochard, ideando la realizzazione e la distribuzione di cinquemila borse – chiamate blessing bags – contenenti un kit per l’igiene personale, sapone, dentifricio, shampoo, e alcuni snack. ‘Vorrei che i senzatetto fossero riconosciuti come persone. Spesso restano invisibili, io voglio che le persone sappiano che esistono – ha detto Jahkil in un’intervista al Chicago Tribune – quando parlo con altri bambini nelle scuole dico sempre di non aspettare di diventare adulti per essere grandi, si può essere fantastici anche da bambini!”.
Il suo lavoro ha ottenuto riconoscimenti importanti come il Gloria Barron Prize per i Young Heroes, un premio rivolto a 25 giovani che hanno realizzato un cambimento positivo nel mondo. Jahkil ha scelto di destinare i cinquemila dollari vinti all’associazione no profit I am, che ha coordinato la raccolta fondi per le sue blessing bags.
Il ragazzino è stato anche nominato ambasciatore per Heartland Alliance, organizzazione internazionale che si occupa di povertà, e fa parte di WE, altro ente no profit che avvicina i giovani al mondo del volontariato. L’entusiasmo e le idee del piccolo Jahkil sono arrivate fino all’ex presidente statunitense Barack Obama che ha twittato la sua storia, inserendola tra quelle più belle e significative dell’anno trascorso. ”Tante persone negli Stati Uniti hanno scelto di impegnarsi, reagire e rimboccarsi le maniche. Ognuno di noi può fare la differenza e dovremmo provarci tutti. Continuiamo a cambiare il mondo anche quest’anno”, ha scritto su Twitter.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Chicago coalition for homeless le persone che vivono per strada nella città americana sono 82mila. Jahkil continuerà a distribuire i suoi kit anche nel 2018 e cercherà di estendere lo stesso progetto ad altre città statunitensi. La sfida più grande però sarà un’altra: costruire delle mini case per le persone senza fissa dimora con l’intento di ricalcare un progetto già esistente a Detroit, dove i servizi sociali operano nel campo edile grazie alle donazioni di privati e imprese. ”Ne vorrei fabbricare una interamente con le mie mani – ha detto Jahkil – vorrei sapere come ci si sente dopo”
Fonte www.repubblica.it
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