di Marcello Semeraro per l’Osservatore Romano
Insieme con l’annuncio della costituzione di un Consiglio di cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale (13 aprile 2013), Papa Francesco annunciò pure l’avvio di una riforma della Curia romana. Il cammino allora cominciato se non è alla sua tappa conclusiva, è però giunto a una svolta importante. Non ne riprenderò le varie tappe, su cui anche personalmente ho avuto occasione di intervenire in altre circostanze.1
La stato attuale della proposta
In un briefing svoltosi nella Sala stampa della Santa Sede il 12 settembre scorso sulla XXVI riunione del Consiglio di cardinali venne rilasciata la seguente dichiarazione: «Gran parte dei lavori del Consiglio è stata dedicata agli ultimi aggiustamenti della bozza della nuova Costituzione Apostolica della Curia romana, il cui titolo provvisorio è Praedicate evangelium. Il Consiglio dei cardinali ha già consegnato al Santo Padre il testo provvisorio che, comunque, è destinato a una revisione stilistica e a una rilettura canonistica».
«Revisione stilistica» e «rilettura canonistica» sono le due espressioni che indicano la condizione attuale del testo-proposta: si tratta di due fasi ambedue necessarie, considerati la modalità del lavoro e l’arco di tempo nel quale esso è stato svolto. Revisione stilistica significa dare al testo quella migliore coerenza «letteraria» che è possibile solo a lavoro compiuto; analogamente si dirà per la rilettura canonistica, considerata la natura giuridica del documento.2
Non si dimenticherà, tuttavia, che durante questi cinque anni sono già intervenute delle cose nuove. Nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2016 lo stesso Francesco ne fece un elenco dal 2013 a quella data. Ricorderò, fra l’altro, la costituzione del Consiglio e della Segreteria per l’economia con i relativi documenti applicativi; nella Segreteria di Stato la costituzione della Terza Sezione per le Rappresentanze pontificie e poi: i Dicasteri per i laici, la famiglia e la vita; per il servizio dello sviluppo umano integrale; per la comunicazione.
È ora prevedibile che si proceda con una consultazione sul testo-proposta del Consiglio di cardinali, analogamente a quanto avvenuto con la costituzione apostolica Pastor bonus. «La preparazione del testo della costituzione è stata lunga — annota Patrick Valdrini — perché Giovanni Paolo II voleva sottoporre i lavori sia alla Commissione di preparazione della riforma sia ai diversi concistori di cardinali».3
Per il proseguimento del lavoro riguardo all’attuale proposta del Consiglio di cardinali, sarà ovviamente il Papa a decidere. Si terrà conto, tuttavia, che non poche consultazioni ci sono già state durante questi cinque anni: sia quella previa, avvenuta nell’estate-autunno 2013, fatta dai singoli cardinali membri del Consiglio per le aree geografiche di iniziale riferimento e dal cardinale Giuseppe Bertello per i dicasteri della Curia romana; sia la consultazione avvenuta per i processi di riforma già portati a termine; sia la consultazione svolta in itinere per non pochi altri dicasteri4. Si ricorderà pure che nei giorni 12-13 febbraio 2015 si tenne un concistoro di cardinali appositamente dedicato ai temi della riforma della Curia romana.
Nel briefing del 12 settembre 2018 fu pure comunicato il titolo della proposta di costituzione apostolica: Praedicate evangelium. La sua scelta, così com’è, risale all’estate 2015. Non è che prima non vi si sia pensato; nessun autore, però, scrive nel dettaglio la «prefazione» del suo lavoro prima d’avere portato a termine i diversi capitoli. Il primus in intentione è, in genere, l’ultimus in executione! Era, tuttavia, più che doveroso scegliere ben presto una prospettiva generale, come già nelle costituzioni apostoliche immediatamente precedenti l’attuale progetto.
Celebrato, infatti, il concilio Vaticano II e riferendosi esplicitamente ai desideri espressi dai padri conciliari5, con la costituzione Regimini Ecclesiae universae (1967) Paolo VI dispose e realizzò una prima riforma della Curia.
Successivamente, Giovanni Paolo II promulgò la costituzione apostolica Pastor bonus (1988) perché nell’intero organismo della Chiesa s’instaurasse sempre di più la comunione.6
La scelta di una prospettiva
Proprio in quella fase iniziale, però, Francesco pubblicò la sua esortazione apostolica Evangelii gaudium
(24 novembre 2013), un documento che è indispensabile per comprendere il processo di riforma voluto da Papa Francesco. Alla sua luce si comprese subito che se riforma della Curia romana doveva esserci, essa doveva inserirsi in un ben più ampio progetto di riforma. Al n. 25 di quella esortazione apostolica, infatti, il Papa consegnava alla Chiesa la sua speranza che tutte le comunità si adoperino fattivamente «per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno», perché «ora non ci serve una “semplice amministrazione”».Per comprendere adeguatamente cosa Francesco intende quando parla di trasformazione missionaria della nostra pastorale, sarà utile riferirsi a quanto egli stesso aveva detto il 28 luglio 2013 durante il viaggio a Rio de Janeiro per la 28° giornata mondiale della gioventù. Incontrando i vescovi responsabili del Celam il Papa aveva distinto due dimensioni della missione: una «programmatica» e l’altra «paradigmatica». Disse che «la missione programmatica, come indica il suo nome, consiste nella realizzazione di atti di indole missionaria. La missione paradigmatica, invece, implica il porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari».
Questa distinzione è molto importante ed è implicita in Evangelii gaudium dove il Papa scrive di sognare «una «scelta missionaria (missione paradigmatica) capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale (missione programmatica) diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (n. 27). I cambiamenti strutturali, in altre parole devono essere il frutto di una scelta pastorale e questo vale, ovviamente, anche per la Curia romana.7
Il titolo provvisorio della proposta di costituzione apostolica risponde, dunque, a questa ispirazione. Esso era già in implicitamente reso noto nel comunicato della Sala stampa della Santa Sede del 25 aprile 2018, dove si legge che tra i vari temi che andranno a formare il nuovo documento c’è da tener conto del fatto che «l’annuncio del Vangelo e lo spirito missionario» saranno la «prospettiva che caratterizza l’attività di tutta la Curia».8
Quanto, poi, all’espressione Praedicate evangelium (che intenzionalmente vuole collegarsi a quella di Evangelii gaudium) è tratta, com’è facile vedere, da Marco, 16, 15: un mandato che, come aveva scritto san Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, costituisce «il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all’intera umanità nel mondo odierno» (n. 2).
Alcuni principi-guida della proposta di riforma
Papa Francesco ha costantemente accompagnato il lavoro del Consiglio di cardinali non soltanto con la sua presenza a tutte le sessioni di lavoro, ma pure guidandone l’opera specialmente mediante i suoi interventi — ben conosciuti — al tradizionale incontro pre-natalizio con la Curia romana.
Nel discorso del 22 dicembre 2016, in particolare, egli richiamò ben dodici criteri-guida della riforma (individualità; pastoralità; missionarietà; razionalità; funzionalità; modernità; sobrietà; sussidiarietà; sinodalità; cattolicità; professionalità; gradualità). Mi soffermo su alcuni.
Il principio della sussidiarietà fu enunciato per la prima volta nella dottrina sociale della Chiesa al n. 80 della Quadragesimo anno e fu da Pio XII riconosciuto valido anche per la vita sociale della Chiesa. «Ogni attività sociale è per natura sua sussidiaria; essa deve servire di sostegno per i membri del corpo sociale, e non mai distruggerli e assorbirli»: così la formulava Pio XII nell’allocuzione ai nuovi cardinali del 20 febbraio 1946, precisando tuttavia che ciò doveva intendersi «senza pregiudizio della struttura gerarchica» della Chiesa.9 Un’allusione a questo principio si trova nell’art. 3 §3 dello «Statuto» del nuovo Dicastero per lo sviluppo umano integrale, dove si legge: «Il Dicastero si adopera perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza materiale e spirituale — se necessario anche mediante opportune strutture pastorali — agli ammalati, ai profughi, agli esuli, ai migranti, agli apolidi, ai circensi, ai nomadi e agli itineranti».
A questo principio è collegato quello della decentralizzazione. In considerazione del fatto che il Successore di Pietro «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli» (Lumen gentium 23; cfr. n. 18) la Curia romana è non soltanto strumento «al servizio del Romano Pontefice», ma anche strumento «di servizio per le Chiese particolari». Francesco fece un esplicito ricorso al concetto di decentralizzazione in Evangelii gaudium n. 16, dove si legge: «Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”». Poco più avanti, dopo avere ricordato la funzione delle Conferenze episcopali, Francesco aggiunse questa considerazione: «Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria» (n. 32). Il termine decentralizzazione lo riprese nel discorso del 17 ottobre 2015, commemorativo del cinquantesimo del Sinodo dei vescovi.
Altro criterio-guida è quello della gradualità. Francesco spiega che «la gradualità è il frutto dell’indispensabile discernimento che implica processo storico, scansione di tempi e di tappe, verifica, correzioni, sperimentazione, approvazioni ad experimentum. Dunque, in questi casi non si tratta di indecisione ma della flessibilità necessaria per poter raggiungere una vera riforma». Non è da escludere che questo criterio (importante per conservare alla Curia romana il suo carattere di “servizio”) rimanga pure a promulgazione avvenuta!
Un importante principio per il lavoro del Consiglio di cardinali in materia di riforma della Curia romana è ancora quello della tradizione, ch’è il principio della fedeltà alla storia e della continuità col passato. È proprio secondo questo principio che sarebbe fuorviante pensare a una riforma che stravolga l’intero impianto curiale. Nella Curia, difatti, ci sono dicasteri che riguardano azioni fondamentali dell’agire ecclesiale, quali l’annuncio del Vangelo, la tutela della fede e la custodia dei costumi, la vita liturgica, il servizio della communio e della carità… Altri dicasteri riguardano poi le persone e gli stati di vita nella Chiesa. Tutto ciò deve necessariamente essere conservato anche se, come per ogni struttura di servizio, ha sempre bisogno di una permanente sorta di “manutenzione”.
Per altro verso e quasi a suo equilibrio si penserà al principio dell’innovazione. Almeno un esempio, in questo caso, è facile addurlo: si tratta del Dicastero per la comunicazione. Costituito da Francesco con il motu proprio L’attuale contesto comunicativo del 27 giugno 2015, questo dicastero si sviluppa attorno a due fuochi: la necessità di ripensare l’uso delle risorse economiche nei nuovi contesti, per un verso, ma poi, soprattutto, l’effettivo cambio dello scenario del sistema mediale. Lo richiamò esplicitamente Francesco nel suo discorso del 4 maggio 2017 nel quale il Papa parlò di questo dicastero come di un test per la riforma della Curia romana: «In questo caso, infatti, non si tratta di un coordinamento o di una fusione di precedenti Dicasteri, ma di costruire una vera e propria istituzione ex novo…». All’interno di questo criterio di innovazione si colloca la scelta e la nomina nel luglio scorso di un fedele laico come prefetto del Dicastero per la comunicazione: decisione non improvvisata dal parte del Papa; anzi appositamente studiata con il contributo di autorità in materia. Scelta, peraltro, in qualche maniera “anticipata” di un mese con analoga nomina del rettore magnifico di questa università.
Un ulteriore principio seguito dal Consiglio di cardinali per la riforma della Curia romana è quello della concentrazione su quanto è davvero necessario per la Chiesa universale. È un principio che potrebbe anche essere chiamato “di semplificazione” ed è quello che ha già suggerito l’accorpamento in alcuni dicasteri di precedenti pontifici consigli, previsto nella proposta del Consiglio di cardinali anche per alcune altre realtà curiali.
La riforma della Curia come “processo”.
Mi riferirò, per questo, a ciò che Francesco ha scritto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium circa il principio (come lo enuncia) che «il tempo è superiore allo spazio».
«Questo principio — spiega il Papa — permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone… Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci» (n. 223).
A questo principio il Papa è fedele anche nel caso della riforma della Curia romana. Pensare diversamente, per Francesco sarebbe «privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi». La riforma della Curia, al contrario, «è un delicato processo che deve essere vissuto con fedeltà all’essenziale, con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera — tanta preghiera! —, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti e — quando risulta necessario — anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà, con incondizionata obbedienza; ma in primo luogo con l’abbandonarci alla sicura guida dello Spirito Santo, confidando nel Suo necessario sostegno. E, per questo, preghiera, preghiera e preghiera».10
Ha tradotto molto bene questo pensiero del Papa il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato e membro del Consiglio di cardinali, quando in un’intervista rilasciata l’11 gennaio 2017 a Vatican News ha detto che nel lavoro di riforma della Curia ci sono stati «notevoli passi in avanti»; subito dopo, però, anche richiamando l’ultimo discorso natalizio di Francesco, ha aggiunto: «un motivo che costantemente ritorna nel magistero di Papa Francesco quando si tratta della Curia è che non si tratta tanto d’insistere sulle riforme strutturali, comunicazione di nuove leggi, di nuove normative, nomine eccetera… quanto piuttosto sullo spirito profondo che deve animare anche ogni riforma della Curia ed è la dimensione fondamentale della vita cristiana cioè quella della conversione».
Considerati in quest’ottica, momenti importanti per la riforma della Curia romana sono da considerare pure i giorni di «esercizi spirituali», che Francesco ha voluto si svolgessero in luogo appartato e in giorni a essi interamente dedicati; la stessa cosa si dirà per i giorni di «ritiro spirituale», che da qualche anno si aggiungono ad altri tradizionali momenti di meditazione e si tengono nelle prossimità del Natale, della Pasqua e della Pentecoste. Sono giorni di «esercizi», che nella tradizione ignaziana hanno un carattere spiritualmente atletico e combattivo, ossia di «mozione», movimento (concetto cui Francesco ricorre anche quando tratta della riforma della Curia romana).11
L’ispirazione ignaziana appare nel discorso del 22 dicembre 2016 quando Francesco riprende con l’adagio deformata reformare, reformata conformare, conformata confirmare e confirmata transformare. Si tratta di passaggi progressivi che richiamano il percorso delle quattro settimane degli Esercizi spirituali, dove la prima corrisponde alla cosiddetta «via purgativa» (deformata reformare), la seconda a quella chiamata «via illuminativa» (reformata conformare), la terza e quarta settimana corrispondono alla «via unitiva» (conformata confirmare e confirmata transformare).
In questi passaggi la parola «forma», con le diverse accezioni denotate dai diversi prefissi, ha il significato di un lasciarsi plasmare da Dio, come in principio egli fece con Adamo. Gli esercizi spirituali, infatti, sono proprio questo: «Disporre l’anima a liberarsi da tutti gli affetti disordinati e, una volta che se ne è liberata, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzare la propria vita per la salvezza dell’anima» (Esercizi spirituali, 2)12. La prima eco, dunque, che la parola «riforma» suscita nell’animo di Francesco è una riforma della propria vita.
Tutto questo si collega armonicamente con ciò che egli stesso intende quando parla di Ecclesia semper reformanda. Così il 10 novembre 2015 a Firenze, nel quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana: «La riforma della Chiesa poi — e la Chiesa è semper reformanda — è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività».
«Riforma», dunque, nella mens di Francesco è ben più di un qualunque mutamento strutturale. Si tratta, invece, di ciò che è necessario perché nel fluire del tempo e nel cambiamento delle situazioni la Chiesa conservi la sua «sacramentalità», ossia la sua trasparenza nei riguardi di Dio che la fa esistere e in essa dimora. E questo vale anche per la Curia.
Ciò che si chiama «riforma» è intimamente connesso al volto di Chiesa in uscita missionaria, come si legge in Evangelii gaudium: «La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (n. 27).
1 Mi riferisco in particolare a: Marcello Semeraro, La riforma di Papa Francesco, in «Il Regno – Attualità» 14/2016, pp. 433-441; In atto. Riforma della Curia, in «Il Regno-attualità 2/2018», 1-7; Papa Francisco, La reforma de la Curia Romana. Edición preparada y comentada por Marcello Semeraro, Lev-Romana, Città del Vaticano – Madrid, 2017.
2 La nomina, resa pubblica il 27 ottobre scorso, di monsignor Marco Mellino come segretario aggiunto del Consiglio di cardinali e, al tempo stesso, come membro del Pontificio consiglio per i testi legislativi è da considerarsi anche in rapporto con questo lavoro.
3 Patrick Valdrini, Comunità, persone, governo. Lezioni sui libri i e ii del cic 1983, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2013, 142.
4 Per queste ultime consultazioni, si potranno consultare i diversi briefing prodotti di volta in volta nella Sala stampa della Santa Sede.
5 Cfr. Concilio ecumenico Vaticano II, Decreto Christus Dominus 9s.
6 Cfr. Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Pastor bonus, 1. La “novità” presente nella Curia di Giovanni Paolo II è costituita dalla presenza dei Pontifici consigli (che comprendevano anche i precedenti Segretariati), per i quali cfr. Pio Vito Pinto (a cura di), Commento alla Pastor Bonus e alle Norme Sussidiarie della Curia Romana, Lev, Città del Vaticano, 2003, 193-195. Nella proposta del Consiglio di cardinali e nelle attuazioni di Francesco, questa realtà sembra destinata a scomparire prevalendo la dizione generale di «Dicastero» (cfr. art. 2 §1 e 2 delle Norme generali di Pastor bonus).
7 «Il “cambiamento delle strutture” (da caduche a nuove) — proseguiva Francesco parlando ai vescovi del Celam — non è frutto di uno studio sull’organizzazione dell’impianto funzionale ecclesiastico, da cui risulterebbe una riorganizzazione statica, bensì è conseguenza della dinamica della missione». Solo dalla scelta di questo «paradigma», o modello missionario di Chiesa, potranno scaturire i programmi, ossia gli interventi sulle strutture, sull’organizzazione ecc.
8 Cfr. briefing del 25 aprile 2018.
9 Si terrà, dunque, conto che la Chiesa pur essendo una realtà misterica e, al tempo stesso, una realtà storico-sociale: «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» (Lumen gentium, 8).
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