Il recente incontro delle religioni per la pace ad Assisi e l’annuale ricorrenza della festa di San Francesco ripropongono in maniera diversa e complementare l’attualità del messaggio di colui che fu definito da Dante «tutto serafico in ardore» (Paradiso, XI, 37), capace di parlare agli uomini d’oggi non meno che a quelli del suo tempo.
Significativamente, in un delizioso scritto giovanile intitolato Francesco d’Assisi (1904), Hermann Hesse osservava: «Appare evidente come per parecchi secoli in tutta l’Italia nessun uomo abbia goduto di un amore e di un ossequio così smisurati come il modesto e umile Francesco… Egli aveva sparso a piene mani un buon seme, e quel seme germogliò, crebbe e fiorì».
Qual è questo seme? Che cosa esso potrebbe offrire all’Italia di oggi?
Vorrei rispondere a queste domande soffermandomi su tre aspetti della figura di Francesco, che mi sembra incarnino un messaggio di vita e di speranza particolarmente importante per il nostro oggi: l’amore alla povertà, la scelta di farsi prossimo, specialmente ai più poveri, e il coraggio nel richiamare il valore sanante della misericordia e del perdono.
A un’Italia che ha conosciuto gli anni del “boom economico”, quelli del progressivo consolidamento della sua posizione fra le grandi potenze economiche mondiali, quelli della crisi e quelli dei primi, timidi segnali di uscita da essa, la povertà scelta e amata da Francesco si offre come un richiamo forte e salutare alla sobrietà della vita. Certo, il Santo di Assisi sceglie la povertà non per pauperismo, ma per amore del Cristo povero, con l’intento di vivere il Vangelo che l’ha raggiunto in maniera folgorante nella festa dell’Apostolo Mattia alla Porziuncola: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino.
Il porsi senza condizioni a servizio del Signore Crocefisso trasfigura l’essere e il modo di vivere di Francesco e si irradia spontaneamente nel mettersi al servizio degli altri, anteponendo al proprio il bene di tutti. Francesco, infine, parla all’Italia d’oggi perché nell’agire si ispira a una regola esigente, appresa ai piedi della Croce, proclamata a tutti dal perdono offerto da Gesù ai suoi crocifissori: «Chi non ama un solo uomo sulla terra al punto da perdonargli tutto, non ama Dio». Il Poverello perdona tutto e tutti, non in un vago irenismo, ma con una forza e una convinzione che turbano la logica comune, stimolando ciascuno a liberarsi da ogni autoreferenzialità per aprirsi alla misericordia e al perdono, ricevuto e donato.
Contro ogni logica di scambio, Francesco insegna che solo l’eccesso dell’amore libera e salva, e che di questo eccesso il perdono è il volto concreto, di cui nessuno può fare veramente a meno. È il messaggio incarnato nella maniera più alta dal Santo morente nel suo consegnarsi totalmente a Dio per amore di tutti. Lo esprimono in maniera struggente questi versi di Elena Bono, nella sua Ballata in tre tempi per San Francesco: «Madonna Morte… molte canzoni a ballo vi cantai / da quando mi invitaste or son tre lune / … molto vi vagheggiai / come fringuello cieco / e innamorato. // Che non lo prenda in male e gelosia / ¬ tanto ne chiedo a Dio – / Madonna Povertà, la sposa mia, / ma troppo mi lusinga il vostro invito / dolce Morte sorella, / e il cor mi sbatte forte / pensando a quel momento / che danzeremo insieme / entrando con voi a Corte / la mano nella mano / Madonna Morte».
Il Santo della povertà e dell’amore ai poveri chiede a ognuno di noi e alla società che insieme formiamo di uscire da sé, di aprirsi all’orizzonte ultimo, che solo illumina e redime il penultimo, per esistere in pienezza davanti Dio e per gli altri, protesi verso di Lui e pronti a dare tutto per il bene di tutti: utopia irrealizzabile o orizzonte di senso, per cui vale la pena di spendersi con una fiducia e una fedeltà più grandi di ogni paura? (Mons. Bruno Forte Arcivescovo di Chieti -Vasto per Il Sole 24 Ore)
Redazione Papaboys (Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it)
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