Categorie: Italiae et Ecclesia

Così San Francesco viveva la Quaresima. Nella semplicità, ma nell’azione spirituale

Quaresima, tempo di verità. Per ben tre volte, il Mercoledì delle Ceneri, il Vangelo ci ammonisce: “non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti”; “non siate simili agli ipocriti”; “quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti” (Mt 6,2.5.16). Non si può vivere la Quaresima in modo ipocrita; non la si può ridurre all’astinenza dalle carni in giorno di venerdì e a qualche pratica devozionale in più, perché è un tempo che ci è dato per rientrare in noi stessi e aggredire le contraddizioni vere, quelle minano la vita di grazia. 

È un approccio, questo, che i santi hanno saputo far proprio, perché sono stati capaci di andare alle radici, ai problemi veri, evitando un formalismo che lascia comunque il tempo che trova. Francesco, quando parlava ai frati e alla gente, sapeva andare dritto al cuore. Come quella volta che, implorato insistentemente da frate Elia, si recò a S. Damiano per predicare a Chiara e alle sue sorelle: «Quando furono riunite come di consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il Padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore e cominciò a pregare Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne fece un cerchio sul pavimento tutto attorno alla sua persona, e il resto se lo pose sul capo. Le religiose aspettavano e, al vedere il Padre immobile e in silenzio dentro al cerchio di cenere, sentivano l’animo invaso da grande stupore. Quando, a un tratto, il Santo si alzò e nella sorpresa generale in luogo del discorso recitò il salmo Miserere. E appena finito, se ne andò rapidamente fuori». Tommaso da Celano annota che tutte le sorelle scoppiarono pianto: «col fatto aveva insegnato loro a stimarsi cenere, e inoltre che il suo cuore non provava altro sentimento a loro riguardo che non fosse conforme a questo pensiero» (2Cel 207). 

Anche se vi accenna quasi di sfuggita, l’agiografo non tace il fatto che le sorelle si fossero riunite «per ascoltare la parola del Signore, ma anche per vedere il Padre». Tale disposizione, che rivelava un atteggiamento di venerazione per la persona di Francesco, finiva comunque per diventare un inciampo: il mezzo (Francesco) rischiava di sostituire il messaggio (la Parola del Signore). Ed era questo che egli non poteva né voleva assolutamente tollerare. Per tale motivo si premurò di ricordare loro la sua realtà di peccatore. Predicò così con quel gesto, certo paradossale, ma capace di rivelarsi più efficace di un fiume di parole. 

Ci sono rimasti poi frammenti dei discorsi che egli, negli ultimi anni di vita, teneva ai frati riuniti in capitolo. Ne stralcio alcuni frammenti, utili anche per noi. “Chiunque invidia il suo fratello per il bene che il Signore dice e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il quale dice e fa ogni bene” (Ammonizione VIII). “Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé, finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non di più” (Ammonizione XIII). “Beato il servo, il quale non si ritiene migliore, quando viene magnificato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più” (Ammonizione XIX). 



“Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Sì, perché l’uomo non vale per la posizione che è riuscito ad acquisire, per il conto bancario che è stato capace di mettere insieme, per l’abito che indossa o per l’auto che guida. Non è, in fondo, una nuova schiavitù – alla quale stiamo velocemente assoggettandoci – quella dell’immagine, per cui bisogna essere belli a tutti i costi, magri e in linea, vestiti in modo costoso e all’ultima moda, fino a deprimersi quando non si riesce a rientrare nei livelli standard, o a cadere vittime dell’anoressia nel tentativo di far rientrare il nostro corpo entro argini non suoi? Una schiavitù e un terribile inganno, del quale ci si accorge – spesso – quando è troppo tardi. 

“Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Ci è richiesto il coraggio della verità, con noi stessi e con Dio. Il coraggio di guardarci dentro, senza bugie e senza finzioni, poiché sono ben altre cose che valgono davanti a Dio: “l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16, 7). Dobbiamo interiorizzare questo messaggio, perché Dio non ci chiede di trascinarci in un’altra Quaresima, ma di vivere una Quaresima altra!


Redazione Papaboys (Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it/Felice Acrocca)

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