I costi non sono compensati dai fondi ricevuti da donazioni o da accordi con gli enti pubblici. Un esempio? Per mense, dormitorio, centro ascolto, assegnazione di case a canone convenzionato, nel 2013 si sono spesi 800mila euro, a fronte di contributi per 41mila. E negli ultimi 15-20 anni la Piccola Casa
, per la diminuzione dei religiosi, ha dovuto introdurre, e pagare, 1.400 dipendenti in Italia. Il “buco” del Cottolengo – che comunque è garantito dal patrimonio immobiliare – sarebbe ancor più grande, 32 milioni, se non ne arrivassero 16 di donazioni.L’opera fondata dal sacerdote Giuseppe Cottolengo (canonizzato nel 1934) è presente in 11 Regioni italiane e opera in Ecuador, India, Svizzera, Tanzania, Kenya e Florida.
Bastano i numeri torinesi a dare un’idea delle dimensioni: 600 alloggi dati a famiglie che altrimenti sarebbero in strada, 404 gli ospiti del ricovero, tra anziani e disabili; in 1.295 si sono rivolti in un anno al centro ascolto, in maggioranza, 680, italiani. Numeri in forte aumento per la crisi: +33% in due anni. I pacchi viveri distribuiti nel 2013 sono 960, da 520 dell’anno prima. Il dormitorio aveva ospitato, nel 2012, 171 persone per un massimo di 30 giorni, 159 i passaggi singoli; l’anno scorso rispettivamente a 210 e 185. Sono 400 i pasti serviti gratis al giorno, oltre 128mila l’anno a 5.645 persone. Con la crisi torna in voga anche la richiesta delle docce, com’era negli anni ’50 quando non c’era il bagno in casa: nel 2013 il servizio docce era aperto due mattine, da quest’anno tutta la settimana, con passaggi raddoppiati. Sul fronte lavoro, nei servizi d’assistenza a Torino sono 354 gli operatori: 47 religiosi, 98 dipendenti, gli altri tra liberi professionisti e società esterne. Poi c’è l’enorme apporto del volontariato. 1,149 persone per un totale di 215mila ore. In 25 hanno scontato al Cottolengo una pena con lavori di pubblica utilità.
«Abbiamo seri problemi, ma non intendiamo tagliare servizi. Anche il nostro fondatore era pieno di debiti» dice fratel Marco Rizzonato, responsabile delle iniziative di raccolta fondi. Ma bisogna prendere delle contromisure: «Abbiamo problemi con vecchie strutture vuote, che non riusciamo a vendere, sulle quali paghiamo l’Imu. Per contenere le perdite, quando accogliamo un nuovo utente, cerchiamo tutte le convenzioni possibili e l’accreditamento con le Asl». Per evitare, come avviene per ognuno degli “ospiti storici” che hanno solo la pensione d’invalidità, una perdita mensile di 1.300 euro. «Abbiamo realizzato il bilancio sociale per un dovere di trasparenza e per chiedere aiuto. Estenderemo la rendicontazione alle altre realtà in Italia e all’estero».
Articolo originale di Fabrizio Assandri per Avvenire, approfondimento e filmati: Piccola Casa del Cottolengo Torino
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