Esiste un seme piantato in ognuno di noi; un “abbozzo” di vita che cresce. Alcune volte è silenzioso, altre invece spinge e orienta nel cammino, altre ancora inquieta finché non trova la via che gli dia piena realizzazione.
Ecco, questa la mia esperienza; un piccolo seme, un desiderio profondo: che la mia vita potesse essere donata a chi si fosse trovato nel bisogno. Fin da piccola infatti ho sentito di aver ricevuto tanto dalla mia famiglia e dalle esperienze fatte, ed era ciò che volevo diventasse dono per gli altri. Ma, mi domandavo, in che modo?
Iniziato il periodo dell’adolescenza ho intensificato il mio impegno all’interno dell’oratorio salesiano vicino a casa, ma presto mi sono resa conto che ciò non mi bastava. Ho sentito crescere il desiderio di fare di più, di spendermi di più per gli altri. Ho preso quindi la decisione di partire come volontaria per la missione, ma era ancora poco. Ho pensato allora che la soluzione potesse essere quella di orientare il mio percorso di studi verso il campo dell’educazione così da potermi poi occupare di giovani a rischio, poveri ed emarginati. E così feci. Ero felice, sì, ma ancora non pienamente. Questo desiderio dentro di me stava spingendo a cercare una via, una scelta radicale di vita, la mia felicità piena. La scelta però chiedeva di lasciare tutto, e a questo “tutto” segue sempre la paura, il timore di non riuscire, il terrore di affrontare l’ignoto. Allora può capitarti di scappare, di cercare altro; ti ribelli, ma quel desiderio nascosto dentro di te ti rende inquieto finché non prendi la decisione di provare a seguirlo.
Fu così che nell’estate del 2010, sotto indicazione della mia guida spirituale, ho vissuto un’esperienza di comunità nella casa delle FMA a Bibbiano (RE). È stato un mese durante il quale, con la scusa di occuparmi di animazione oratoriana, ho cercato di fare esperienza di vita comunitaria. In questo periodo dentro di me ha iniziato a farsi sentire sempre più forte l’attrazione per i giovani che frequentavano l’Estate Ragazzi, tanto da arrivare a dedicare loro più tempo del dovuto. Emergeva in maniera sempre più forte l’esigenza di vivere insieme ai ragazzi momenti formativi, così ho partecipato – in appoggio alle suore – alla preparazione di alcuni incontri. Ecco che quel seme che avevo dentro ha iniziato a trovare corrispondenza in ciò che vivevo.
Cos’è che ha orientato le scelte che ho preso successivamente? Perché proprio don Bosco e i giovani? Perché proprio nella vita consacrata? Perché mi sentivo a casa, perché l’esperienza con i giovani e la quotidianità della comunità erano state per me la risposta a qualcosa che già viveva dentro di me, perché ho sentito che quel desiderio di donazione totale avrebbe potuto esprimersi pienamente in questa strada. Ha avuto grande importanza per me incontrare in quella comunità suore che a 90 anni facevano ancora del loro meglio per prestare assistenza in cortile, che davanti allo scoraggiamento, all’impotenza che si può provare nell’educare i giovani, rimangono lì, con il sorriso, provando in tutti i modi a trovare in loro quel punto accessibile al bene. Allora mi domandavo: che cosa ci trovavano? per chi lo facevano?
E mano a mano che avanzo nel cammino, scopro che la sorgente di tutto è molto più grande di un semplice desiderio di “stare con i giovani”, e che sono stata chiamata da Qualcuno che ha scelto proprio me, perché potessi essere insieme alla comunità, la Sua parola, il Suo braccio, il Suo sostegno in mezzo ai giovani. E scopro che i giovani e le persone che mi mette accanto nel cammino, a partire da quelle con le quali vivo, non sono altro che un Suo segno d’amore e uno strumento con il quale conduce il mio cammino. Allora non posso fare altro che cercare di rispondere a questa chiamata pur con tutti i limiti che mi riconosco e le difficoltà che incontro, certa che questa sia la via che aiuta il seme a crescere, ad esprimere tutta la bellezza che porta dentro e per la quale è stato pensato. di Lucia Sartirani
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