A seguito del referendum si è accettata la diffusione di un modello di crisi che si diffonde via via ripercorrendo le linee di confine della passata URSS. Mercoledì il presidente Obama (dopo aver partecipato lunedì e martedì al summit sul nucleare a l’Aja ) a Bruxelles affronterà la questione per cui ad oggi, a fronte dello stallo ucraino, l’intera area baltica si trova in uno stato di incertezza. A darne dimostrazione sono le manifestazioni russofone diffusesi grazie alle etnie presenti in Estonia (23.9% della popolazione) Lettonia (26.4%) e soprattutto Lituania (5.8%), quest’ultimo paese, notoriamente pacifista sconvolto dalle dichiarazioni di aumento delle spese militari in vista di un periodo delicato. Al contempo la Polonia chiede all’ombrello NATO di garantire una copertura solida e la Francia risponde che, in attesa di indicazioni ufficiali della posizione atlantica invierà due Mirage e due Rafale nella regione per operazioni addestrative.
Nel frattempo il secondo partner UE di Mosca, l’Italia, attende indicazioni comunitarie. Mentre La Merkel si affida alle scelte del ministro dell’Energia Sigmar Gabriel che molto probabilmente si confronterà con il suo riferimento politico, Gerhard Schroeder, oltretutto a capo di Nord Stream (consorzio energetico che costruirà il gasdotto russo-tedesco), nominato nel 2005 con l’appoggio di Gazprom. Ciò che interessa nell’assetto commerciale è che la tutela degli interessi di 6000 aziende tedesche in Russia non riesca a fermare qualsiasi tentativo di risoluzione che ora rischia di impantanarsi nella obbligatorietà della ricerca di una soluzione diplomatica, come voluto dai tedeschi. Ovvero uno stallo con cui i progressi dei rapporti commerciali creino un vantaggio di azzardo morale per altre manovre russe analoghe. Intanto il Consiglio dei capi di Stato e di Governo della UE ha approvato l’intesa politica con il leader ucraino Yatseniuk, in attesa delle prossime elezioni, mentre David Cameron ha sottolineato la necessità di sospendere i negoziati per l’ingresso della Russia nell’OCSE e nell’AIEA. I 100 osservatori per l’Osce potranno così operare in Ucraina ma senza entrare in Crimea, secondo l’accettazione della Russia. In questo modo è lecito domandarsi se quindi l’annessione è oramai status quo per l’ordinamento internazionale?!? Perché in questo caso il modello di crisi è pronto per essere esportato nell’area baltica. di Flavio Britti