R. – La sfida che noi ci troviamo davanti, come cristiani in Europa, è doppia. La prima concerne una crescente esclusione o intolleranza sociale in molti Paesi, ovviamente in termini molto diversi, a seconda della cultura dominante e dei media dominanti, ma comunque c’è una tendenza in questa direzione. Il secondo problema che ci troviamo a dover affrontare sono le limitazioni a livello legale, tra le quali la libertà di coscienza dei cristiani che operano nell’ambito della medicina, oppure la libertà di espressione di fronte ad argomenti come il matrimonio e la famiglia o l’educazione sessuale gestita dallo Stato. I cristiani non si trovano ad affrontare soltanto una crescente intolleranza, ma a volte addirittura restrizioni legali.
D. – Si risente un po’ della situazione che c’è in Iraq, in Siria o in altri Paesi dove ci sono persecuzioni, anche contro i cristiani?
R. – In Europa non parliamo di persecuzione: il problema è completamente diverso. Ma come possiamo sentire dai nostri fratelli e sorelle in Iraq, in Iran e in Siria, c’è un collegamento tra la passività, la mancanza di consapevolezza di quello che significhi “libertà religiosa” in Europa e i problemi che queste persone si trovano ad affrontare nei loro Paesi. Infatti, se i politici europei avessero un po’ più di determinazione e ponessero un po’ più di enfasi sul significato di “libertà religiosa”, potrebbero anche essere più severi nelle loro politiche nei riguardi di altri Paesi. Faccio un esempio. L’Unione Europea ha tenuto un incontro a livello di ministri degli Esteri, due anni fa, per parlare dei crimini perpetrati nei confronti dei cristiani in Egitto, che in quel momento erano veramente drammatici, tragici. In seguito a questo incontro avrebbero dovuto pubblicare una risoluzione per stabilire una sorta di politica estera comune dell’Unione Europea per quanto riguardava l’Egitto. Poi, però, non hanno potuto preparare tale documento, perché è stato rifiutato di menzionare il termine “cristiani”. Per una ragione di “politically correct”, non hanno voluto dire che “sono stati uccisi dei cristiani” oppure “i cristiani stanno perdendo i loro diritti”, perché volevano mantenersi su un piano di eguaglianza tra le religioni. Qualunque persona che leggesse un simile documento, si renderebbe conto che i ministri non si sono trovati uniti nemmeno nell’esprimere la loro preoccupazione.
D. – Come migliorare allora la situazione dei cristiani in Europa, sia a livello religioso sia a livello politico?
R. – Io vedo due strade per i cristiani in Europa. Una via è quella di essere molto vigili e di informarsi più approfonditamente sulle loro responsabilità di uomini e donne laici, senza lasciare l’incombenza soltanto alla Chiesa. L’altra via è che i politici cristiani siano più coraggiosi, che sappiano di avere una responsabilità unica di solidarietà con i cristiani più esposti nei Paesi europei dove, ad esempio, i cristiani possono essere minoranza. Ci sono molti Paesi europei nei quali i cristiani praticanti già sono una minoranza. E’ anche un segno di solidarietà nei riguardi di cristiani in altri Paesi, nei quali sono in realtà perseguitati. Quindi, penso che se lottiamo per la libertà religiosa in Europa, in campo medico, etico, educativo, di diritti dei genitori, nel campo della non-discriminazione – e là dove c’è una politica di anti-discriminazione, i cristiani iniziano a perdere la libertà di agire nel mondo del lavoro – riusciremo a dare un segnale positivo anche ai nostri fratelli e sorelle che affrontano problemi molto maggiori dei nostri.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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