Può esserci il rischio di estinzione dei cristiani come gruppo etnico e religioso, quando la loro storia è parte integrante di questa terra di Mesopotamia? È una svolta storica, questa volta di ordine culturale, quella che sta avvenendo sotto i nostri occhi? La sventura ha nuovamente colpito i cristiani della città di Mosul, il cui nome ha una risonanza quanto mai simbolica: Ninive (dal nome aramaico Ninwé), che fu la capitale dell’antica Assiria e che ci ricorda al tempo stesso gli splendori di una civiltà di 4.000 anni, la Bibbia e un cristianesimo ricco di 2.000 anni di storia. Cosa c’è dunque dietro il nome di Ninive?
Questa regione si chiamava un tempo Assiria, terra di cultura, divinità e spiritualità e di una possente autorità politica di cui si trova traccia nei maggiori musei occidentali, come il Louvre a Parigi, dove sono conservati i tori alati che proteggevano i palazzi dei re. Questa civiltà ci ha lasciato in eredità, tra le altre cose, la ricca Biblioteca del re assiro Assurbanipal (668-627 a.C.), i racconti della Creazione e testi religiosi.
Ninive è anche il centro che accolse il messaggio cristiano fin dall’origine, all’epoca degli apostoli, sette secoli prima dell’islam. La città di Mosul (in arabo significa «tratto d’unione») – nel nord dell’Iraq, sulla riva destra del Tigri, all’incrocio delle strade commerciali tra la Siria, la Persia e l’Asia centrale – fu conquistata e costruita dagli arabi musulmani nel 641, di fronte a Ninive, che fu spietatamente distrutta dai Persiani medi nel 612 a.C., ampiamente evocata nella Bibbia.
Ninive, l’Assiria e la Caldea sono tra le culle della civiltà umana. Lungo tutto il suo percorso storico, questo paese contribuì potentemente alla creazione, all’avanzamento e al progresso della conoscenza e dell’organizzazione umana, tanto in materia religiosa, filosofica, scientifica e politica quanto in quella amministrativa. La religione mesopotamica ebbe un ruolo nella proclamazione del Dio supremo, idea presente nelle credenze degli antichi abitanti di Ninive.
Ecco un breve estratto di saggezza assira, redatto mille anni prima di Cristo, il cui tenore ricorda il cristianesimo:
«Mi sono rivolto verso di te, mio Dio, sono venuto alla tua presenza. Ti ho cercato, mio Dio, mi sono inginocchiato ai tuoi piedi; accogli la mia implorazione… Numerose sono le persone che si accalcano, l’oppresso, l’oppressa; il senza potere, la senza potere che vi seguono incessantemente ogni giorno… Non dire mai male degli altri, ma canta le loro lodi! Non parlare troppo, metti un freno alla lingua. Sii dunque calmo, sappi padroneggiarti!».
Ninive è evocata nella Bibbia, nel bene e nel male. Talvolta le maledizioni sono curiose e sorprendenti, come quelle proferite da Nahum.
Ma non ci sono solo anatemi. È il paese per eccellenza del digiuno dei niniviti (Ba’outa d’Ninwayé), citato da Gesù, durante il quale i cristiani dell’Iraq fanno penitenza annualmente per tre giorni, dal lunedì al giovedì della terza settimana prima della Quaresima. Il Vangelo di san Matteo (12,39-42) riporta la scena di Gesù che cita la gente di Ninive come modello, poiché hanno fatto penitenza digiunando tre giorni dando ascolto all’appello di Giona. Quel digiuno di penitenza, che viene chiamato Suppliche o Rogazioni dei Niniviti, continua a essere praticato fedelmente ogni anno, da 2.500 anni. E mantiene intatto il suo valore, in particolare in questi giorni di sofferenza.
Nell’Antico Testamento si fa menzione dell’invio da parte di Dio del profeta Giona ( Yonan, in aramaico) presso gli abitanti di Ninive perché si pentano del loro stile di vita, che non si addiceva a Dio, pena il castigo divino. Il libro di Giona esprime una speranza di salvezza per i niniviti, e leggendolo si scopre che la città di Ninive era «straordinariamente grande», servivano tre giorni per attraversarla e c’erano «più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali» (Giona 4,11).
Obbedendo, i niniviti fecero penitenza. Sempre a proposito di Ninive, è della massima importanza ricordare che Gesù non riprende mai le maledizioni proferite contro Ninive, l’Assiria e Babilonia. Al contrario, trova nella penitenza dei niniviti un segno di salvezza per il genere umano. Del resto, a tre riprese, i testi evangelici evocano Giona: due volte in Matteo e una in Luca.
Matteo scrive: «Nel giorno del giudizio, quelli di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono» (12,41).
Nei Vangeli, negli Atti degli apostoli e nelle lettere viene fatta più volte menzione di Ninive e degli abitanti della Mesopotamia. Gli antenati di quei cristiani, le ‘genti di Mesopotamia’, furono testimoni della Pentecoste e udirono proclamare, segnatamente in aramaico, la loro lingua, «le grandi opere di Dio» (At 2,11). Dopo la nascita di Gesù a Betlemme, notabili e astrologi di Mesopotamia – «magi d’Oriente» – sono venuti a rendergli omaggio.
Peraltro il radicamento della Chiesa d’Oriente nella semina apostolica risale a Mar (san) Tommaso. I cristiani di Ninive si vantano di avere in san Tommaso il primo predicatore. Questo dice la storia di una cristianità consustanziale a questa terra e alla sua civiltà. Secondo la tradizione, tre apostoli sono passati dalla Mesopotamia: Pietro, Tommaso e Bartolomeo, e almeno due dei 70 discepoli, Addai e Mari.
L’Iraq, del resto, è costellato di chiese che portano questi nomi.
Secondo una discussa tradizione, san Pietro avrebbe scritto la sua prima Lettera da Babilonia dove avrebbe soggiornato temporaneamente nel corso del suo ministero episcopale di 25 anni a Roma. La Lettera termina così: «Vi saluta la comunità che vive in Babilonia» (1 Pietro 5,13). E l’apostolo Bartolomeo (Nathanaël), altro evangelizzatore dell’Oriente, fu scorticato vivo nell’anno 71 nella Mesopotamia settentrionale.
Nella seconda metà del primo secolo Tommaso predicò in questa regione del nord dell’Iraq con un altro apostolo, Taddeo (conosciuto in Oriente con il nome di Addai), il quale era accompagnato da due discepoli: Aggai e Mari.
Mar Addai è considerato il fondatore della Chiesa di Babilonia, nella sede di Seleucia-Ctesifonte dove gli sarebbero succeduti Mar Aggai e Mar Mari. Discepolo e successore di Addai, Aggai ordinò vescovi in Assiria, per l’esattezza nella regione di Ninive. Compagno di Aggai, Mari percorse la Mesopotamia per evangelizzarla, fondò la chiesa di Kokhé, non lontano dall’attuale Baghdad, che fu la prima sede della Chiesa d’Oriente prima del suo trasferimento a Baghdad nell’VIII secolo da parte del patriarca della Chiesa d’Oriente, Mar Timoteo I.
Sotto questo aspetto, è importante registrare qui che la prima (Qudasha Qadmaya) delle tre anafore liturgiche della Messa assira e caldea è appunto quella attribuita a Mar Addai e Mar Mari, evangelizzatori della Mesopotamia.
D’altra parte il canto liturgico «Lakhou Maran» (A Te Signore) risale al primo secolo ed è considerato come uno dei più antichi documenti liturgici. È del resto a quell’inno che Plinio il Giovane (61-114), governatore di Bitinia, faceva verosimilmente allusione nella sua lettera all’imperatore romano Traiano.
La topografia e la toponimia di questa provincia mostrano, in maniera indubitabile una presenza cristiana antichissima, sotto forma di chiese, santuari, monasteri, tra i quali Rabban Hormuzd, Nostra Signora delle Sementi, Mar Mattai, Mar Behnam… La città di Erbil è cristiana fin dal primo secolo, e diventò prestissimo una metropolìa che raccolse numerose eparchie (diocesi), così come Alqosh, che ha molto dato alla Chiesa d’Oriente nei suoi due rami. Qaraqosh (Bakhdida), oggi sprofondata nel lutto, è cristiana dal IV secolo ed è uno dei principali luoghi della Chiesa siriaca ortodossa. Diede i natali nel XVIII secolo un religioso eminente, elevato al rango di mafriano (alto dignitario ecclesiastico nella Chiesa siriaca ortodossa), Basilios Yalda, che presiedette la Chiesa malankarese nel Kerala, in India, dove morì nel 1747. Bartella è cristiana dal IV secolo, così come Qaramlesh, dove una chiesa caldea porta il nome di Mar Addai.
Una particolarità importante di questa cristianità mesopotamica è che è sempre stata universale. La Chiesa d’Oriente fu la prima Chiesa missionaria della storia. Partendo dalla regione di Ninive, i missionari cristiani diffusero il messaggio evangelico su tutto il continente asiatico tra VI e XIII secolo. Nata nei dintorni di Mosul, questa Chiesa ha conosciuto un’espansione impressionante in Asia, nelle Indie, in Persia, in Arabia e attorno al Golfo Persico. Gli storici valutano che abbia convertito nel XII secolo 60 milioni di anime che si riconoscevano come seguaci della Chiesa d’Oriente, dal Mediterraneo orientale alla Cina, passando per l’Asia centrale. Vi affondano le radici i 5 milioni di cristiani del sud dell’India, discepoli di san Tommaso, suddivisi tra diverse Chiese, principalmente nel Kerala.
Ninive ha conosciuto anche grandi mistici e asceti. Citiamo volentieri Isacco di Ninive, del VII secolo, che era di origine araba (del Qatar).
Convertito al cristianesimo mesopotamico, è divenuto addirittura vescovo di Ninive. Oggi Isacco di Ninive è un riferimento mondiale, soprattutto per le Chiese ortodosse.
Gli islamisti ultraradicali non stanno dunque sradicando solo un popolo ma anche un’eredità vivente, scaturita da un patrimonio tra i più antichi della storia dell’umanità.
Possibile che questa cristianità così ricca e densa, che ha resistito valorosamente per due millenni a molteplici assalti e persecuzioni, sia sul punto di entrare in una fase di estinzione? È questa storia che oscurantisti e nuovi barbari vogliono sradicare? Nessun essere umano dotato di coscienza e di umanità può accettarlo.
di Joseph Yacoub per Avvenire
(traduzione di Anna Maria Brogi)
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