“Continuiamo a celebrare la messa, ma quando lo facciamo tutto il perimetro della parrocchia è circondato da militari armati. Nonostante la paura, la gente ha una grande fede e continua a venire in chiesa. La parrocchia sorge a circa un quarto d’ora di macchina dal centro di Bangui e ha una popolazione di circa 50mila abitanti. Ogni domenica a messa partecipano tra 2000 e 2500 persone”. Lo racconta Moses Otii Alir, 38 anni, missionario comboniano originario di Kotido, in Uganda, parroco di Nostra Signora di Fatima dal 2013
Bangui, martedì 1 maggio 2018. Nella parrocchia di Nostra Signora di Fatima, che sorge nella periferia della capitale della Repubblica Centrafricana, è festa grande. Il gruppo “San Giuseppe” ha organizzato una messa solenne alla quale partecipano oltre duemila persone. La chiesa, per quanto grande, non riesce ad accoglierle tutte e molte di loro sono riunite nel piazzale antistante dove, sotto gli alberi, i padri comboniani – che gestiscono la parrocchia dal 1967 – hanno sistemato delle panche. La celebrazione eucaristica prosegue festosa, tra canti, lettura della Parola di Dio e preghiere, fino a quando, al momento dell’offertorio, non si iniziano a sentire i primi spari. “Erano circa le 10.30 – 10.40. Erano spari come tanti altri che siamo soliti, purtroppo, sentire per le strade di Bangui. Mai ci saremmo aspettati il massacro che di lì a poco si è consumato davanti ai nostri occhi”. A parlare è p. Moses Otii Alir, 38 anni, missionario comboniano originario di Kotido, in Uganda, parroco di Nostra Signora di Fatima dal 2013. Già testimone diretto dell’attentato del 28 maggio 2014 (in cui persero la vita 15 persone), p. Moses ha visto cadere decine di persone sotto i colpi degli attentatori. Tra questi anche p. Albert Toungoumalé-Baba, 70 anni, che era il responsabile locale della Commissione giustizia e pace. “Quando si è reso conto di ciò che stava accadendo – racconta p. Moses – mi ha detto: ‘Moses, dobbiamo continuare la messa’. Quelle sono state le sue ultime parole”.
Per la messa in onore di S. Giuseppe erano arrivate in chiesa oltre duemila persone. Dal momento che la chiesa, per quanto grande, non riesce ad accoglierle tutte, molte di loro hanno trovato posto nel piazzale antistante, dove, all’ombra degli alberi, abbiamo sistemato delle panche. 19 i sacerdoti alla celebrazione eucaristica organizzata per l’occasione dal gruppo “San Giuseppe”. Canti, preghiere e la liturgia della Parola: tutto è proseguito senza problemi. Fino all’offertorio. Ho iniziato a sentire qualche sparo, ma mi sembrava qualcosa di molto lontano. Purtroppo a Bangui abbiamo fatto l’abitudine al rumore degli spari. Mai e poi mai ci saremmo aspettati il massacro che di lì a poco si è consumato davanti ai nostri occhi.
Qual è stata la prima reazione della gente?
La gente ha iniziato a urlare e a scappare impaurita. Noi abbiamo cercato di mettere al sicuro in chiesa più persone possibile. Gli attentatori, in un primo momento hanno avuto uno scontro con i due poliziotti che erano posti a guardia dell’ingresso della parrocchia. Questi, però, non essendo sufficientemente attrezzati per rispondere al fuoco, sono scappati. A questo punto il commando ha iniziato a sparare all’impazzata sui fedeli nel piazzale, prendendo la mira attraverso la ringhiera posta sul muro di cinta della parrocchia.
Da quante persone era composto il commando?
Difficile stabilirlo. Li abbiamo visti in faccia. Erano tanti e alcuni di loro si sono arrampicati anche sugli alberi, da dove hanno buttato granate sulla chiesa. Una di queste ha bucato il tetto in lamiera (e mentre parla, ci mostra sul cellulare la foto dello squarcio). Erano militanti islamici della zona, finanziati da gruppi esterni, interessati al controllo delle risorse minerarie del Paese.
P. Moses, ha visto cadere i suoi parrocchiani davanti ai suoi occhi…
Sette le persone morte sul colpo, molte altre non sono riuscite a sopravvivere alle ferite riportate nell’attentato. A fine giornata, si sono contati trenta morti. Oltre un centinaio i feriti. Tra le persone che hanno perso la vita in chiesa c’era anche p. Albert Toungoumalé-Baba, 70 anni, che era il responsabile locale della Commissione giustizia e pace, colpito alla testa da un proiettile. Quando si è accorto di quello che stava accadendo, mi ha detto: ‘Moses, dobbiamo continuare la messa’. Quelle sono state le sue ultime parole.
Com’è oggi la situazione?
La situazione è molto brutta. Continuiamo a celebrare la messa, ma quando lo facciamo tutto il perimetro della parrocchia è circondato da militari armati. Nonostante la paura, la gente ha una grande fede e continua a venire in chiesa. La parrocchia sorge a circa un quarto d’ora di macchina dal centro di Bangui e ha una popolazione di circa 50mila abitanti. Ogni domenica a messa partecipano tra 2000 e 2500 persone. All’indomani dell’attentato ho incontrato i fedeli e insieme abbiamo deciso di continuare le attività. Domenica 3 giugno 400 ragazzi, tra i 12 e 14 anni, hanno ricevuto i sacramenti del Battesimo e della Prima comunione. A Pentecoste ci sono state le Cresime di 103 ragazzi. Tra di loro anche un 19enne che è rimasto ferito ad una gamba durante l’attentato del 1. maggio.
Dove trovano queste persone la forza per andare avanti?
La loro forza è nella fede e nella Chiesa. Hanno capito che non possono aspettarsi nulla dalle grandi organizzazioni internazionali. Hanno fede in Dio e fiducia nella Chiesa, perché sono lì, presenti accanto a loro. Noi, all’indomani dell’attentato, non siamo scappati, siamo rimasti lì, in mezzo alla gente. E la gente questo lo vede e lo vive. Tutti i giorni sono centinaia le persone che arrivano alle 15.30 in chiesa per pregare per la pace e per il Paese.
Papa Francesco, nel novembre 2015 ha inaugurato a Bangui il giubileo della misericordia. P. Moses, cosa significa per lei oggi, la parola “misericordia”?
Papa Francesco, con la sua visita, ha spalancato la porta del dialogo con i musulmani presenti nel Paese. Il suo è stato un gesto molto importante per tutta la nostra terra. In quell’occasione, Papa Francesco ha ricordato che “misericordia e giustizia” devono viaggiare insieme. Purtroppo negli ultimi anni si è rimasti a parlare di misericordia e si è dimenticata la giustizia. E questo ha portato ad un acuirsi dello scontro.
Cosa c’è ora nel suo futuro personale e in quello della sua parrocchia?
I responsabili dei Comboniani hanno deciso di farmi trascorrere un paio di mesi in Austria (a Innsbruck) e in Germania, per farmi riprendere dall’attentato. Ad agosto farò ritorno a Bangui, nella mia parrocchia, tra la mia gente. L’attività della parrocchia Nostra Signora di Fatima prosegue e proseguirà come sempre. Anche in queste settimane, durante le quali, a sostituirmi è il provinciale dei Comboniani del Centrafrica.
Fonte: Agenzia Sir