Ennesima strage di migranti nel mar Mediterraneo. Un barcone carico di centinaia di persone in fuga dall’Africa è naufragato al largo delle coste settentrionali dell’Egitto. Almeno 29 i morti accertati, ma il bilancio della tragedia rischia di assumere proporzioni ancora maggiori.
“Sono almeno 29 i corpi dei migranti annegati recuperati finora” ha reso noto il ministero della Salute egiziano alla tv di Stato. “Altri cinque migranti sono stati ricoverati in ospedale” ha aggiunto il portavoce.
Il naufragio è avvenuto al largo di Kafr al-Sheikh, località situata a circa 140 a nord della capitale Il Cairo. L’agenzia statale Mena riporta la seguente dichiarazione di un’autorità locale: “Un’imbarcazione illegale di migranti si è capovolta al largo della costa di Kafr al -Sheikh con 600 migranti a bordo nella più vasta operazione di migrazione illegale registrata finora su queste coste”.
Tra i cadaveri recuperati ci sono anche quelli di dieci donne e due bambini. Lo rende noto il portavoce della provincia di Kafr al-Sheikh, Ahmed al Loz, aggiungendo che a bordo del barcone viaggiavano almeno 600 migranti. Si tratta di egiziani, siriani e di persone “di altre nazionalità africane” afferma.
A diffondere la notizia è stata la catena satellitare Al Jazeera, che in un primo momento aveva parlato di 300 persone a bordo del barcone naufragato. Per l’agenzia egiziana Mena invece i migranti a bordo erano 600.
È un chiaro atto d’accusa, davanti ai delegati di tutto il mondo, contro il regime di Bashar al-Assad. Aprendo la sua ultima Assemblea generale come segretario delle Nazioni Unite, all’indomani dell’attacco al convoglio umanitario nei pressi di Aleppo, Ban Ki-moon abbandona qualsiasi cautela diplomatica: «Tanti gruppi hanno ucciso molti civili in Siria, ma nessuno ne ha uccisi di più del governo siriano, che continua a bombardare quartieri e torturare migliaia di detenuti».
Ban Ki-moon ha quindi lanciato un appello a «tutti quelli che hanno influenza a fermare i combattimenti e dare inizio ai negoziati». La transizione politica in Siria è «attesa da tempo, dopo così tanta violenza, il futuro della Siria non può rimanere nel destino di un solo uomo», ha avvertito il segretario generale, ribadendo che «non c’è soluzione militare alla crisi».
«Troppo è troppo», incalzava nel suo intervento il presidente francese Hollande: «La tragedia siriana – ha aggiunto – entrerà nella storia come una disgrazia dell’umanità se non vi poniamo immediatamente fine».
Un attacco «selvaggio e apparentemente deliberato» per Ban Ki-moon e opera di «codardi» quello di lunedì notte nella zona di Orum al-Kudra – nella provincia settentrionale siriana di Aleppo – che ha segnato un nuovo confine nell’indignazione internazionale, anche se il segretario dell’Onu per l’episodio non accusava esplicitamente Damasco. Un attacco «totalmente inaccettabile» che rappresenta «una flagrante violazione del diritto umanitario internazionale», ha dichiarato il presidente del Croce rossa, Peter Maurer che ha aggiornato a 20 il bilancio del raid aereo. Se fosse provato che si tratta di un atto deliberato per il coordinatore umanitario dell’Onu, Stephen O’Brien, siamo di fronte a un «crimine di guerra». L’Onu, in attesa di accertamenti definitivi, ha annunciato la sospensione di tutti gli aiuti umanitari, mentre la Croce rossa continua le sue operazioni.
In un comunicato, un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha assicurato che sia i russi che i siriani erano a conoscenza della destinazione del convoglio. Poi a sera, a canclusione delle indagini preliminari, Washington accusava apertamente la Russia: sono stati aerei russi a colpire. Amnesty International, citando testimoni locali, ha parlato di raid compiuti da «elicotteri e jet di fabbricazione russa» che sono durati per due ore. Testimonianze che accrescono «i sospetti che le forze del governo siriano abbiano deliberatamente attaccato l’operazione di soccorso». Accuse «infondate», replicava il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov mentre la Difesa di Mosca parlava di un rogo provocato dai ribelli di al-Nusra.
Mentre dalla Siria giungeva la notizia di una massiccia offensiva di terra delle forze governative siriane e delle milizie filo-iraniane alleate di Damasco, sostenute dalla copertura aerea russa, a New Yirk si apriva la riunione del Gruppo internazionale di supporto alla Siria a una settimana dall’inizio della tregua: secondo gli accordi di Ginevra ieri avrebbero dovuto iniziare i raid congiunti di Russia e Stati Uniti. Una tregua che pare sepolta sotto i rottami del convoglio compiuto ad Aleppo, un processo politico «minacciato», faceva sapere il Cremlino ma che Stati Uniti e Russia stanno cercando in tutti i modi di proseguire. «Il cessate il fuoco in Siria non è morto», ha dichiarato il segretario di Stato americano, John Kerry che comunque ha definito l’attacco al convoglio Onu una «vergognosa violazione del cessate il fuoco». Una posizione sostenuta pure dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni: «La tregua non è morta. Al lavoro per ridurre la violenza e per gli aiuti umanitari. Non arrendersi alla guerra», scriveva su Twitter il responsabile della Farnesina.
Redazione Papaboys (Fonte www.avvenire.it)
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