Manifestazione di protesta, questa domenica nella Valle di Cremisan, vicino Betlemme, contro la ripresa dei lavori del Muro di separazione tra Israele e i Territori palestinesi. L’area accoglie la parrocchia di Beit Jala, i terreni di tante famiglie palestinesi, in gran parte cristiane, un monastero, un convento e una scuola elementare. La Corte suprema israeliana ha recentemente autorizzato i lavori con un provvedimento che ribalta una precedente sentenza. Maria Caterina Bombarda ha intervistato il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
R. – La manifestazione vuole esprimere il dissenso, in generale, per la costruzione del Muro che tutti riteniamo inaccettabile, e poi, in particolare, per quella zona che divide la terra dai contadini che la abitano; ed è una zona abitata prevalentemente da contadini cristiani. Nonostante la Corte suprema, avesse, poco tempo fa, fermato i lavori, una revisione poi della stessa sentenza ha dato il via a questi ultimi, i quali sono iniziati immediatamente. È una situazione di grande ambiguità legale, che influisce in maniera molto pesante sulla vita di tante famiglie.
D. – La costruzione del Muro è una minaccia soprattutto per le 58 famiglie cristiane che vivono nella zona: cosa si fa per sostenerle?
R. – Fin quando il Muro non era stato costruito, si poteva fare riferimento al lavoro ordinario. Adesso, invece, si dovrà pensare a nuove forme di sostegno per queste famiglie, ma non sappiamo ancora quali.
D. – Recentemente il Patriarcato latino di Gerusalemme ha condannato l’operazione israeliana definendola “un insulto alla pace”. Ci sono state delle ricadute positive dopo questa dichiarazione?
R. – Sì, ci sono state tante espressioni di solidarietà. Penso alla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, ma anche a tante altre: da organizzazioni non governative e movimenti di diverso genere. Però, ciò non risolve il problema. Noi dobbiamo cercare di fermare, se è possibile, questi lavori, anche se penso che ormai sia tardi.
D. – La questione del Muro ha sollevato un’ondata di malumori anche a livello internazionale. Può rappresentare uno stimolo positivo il fatto che se ne parli?
R. – Assolutamente sì. È importante continuare a parlarne, perché, purtroppo, ci si abitua, dopo un po’ le notizie diventano vecchie e non se ne parla più. Invece è importante che questa situazione sia resa nota a sempre più persone attraverso i mezzi di comunicazione.
D. – Come stanno vivendo la situazione i cristiani che si trovano in questi territori ?
R. – Con grande apprensione certamente; però, questi episodi di violenza creano un senso di incertezza. È per questo, anche, che è stato importante il fatto che il presidente dello Stato di Israele abbia voluto incontrare il patriarca Twal proprio nel luogo dell’ultimo grave attentato a Tabgha (dove nel giugno scorso il Santuario della Moltiplicazione dei pani ha subìto un incendio doloso, ndr), per incoraggiare soprattutto il dialogo e l’incontro tra i religiosi delle diverse fedi. Il presidente, oltre a condannare questi episodi di violenza contro i cristiani, ha anche assicurato che Israele farà di tutto per impedire che la violenza interreligiosa si diffonda dappertutto nel Paese.
D. – L’espansione della barriera di cemento armato è stata giustificata da Israele per motivi di sicurezza…
R. – Certamente sì. Israele ha deciso di separarsi unilateralmente dai palestinesi e ciò rientra in questa prospettiva.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana