Lucky Luciano, Carlo Gambino, Enrico de Pedis, Piergiorgio Welby, Luciano Casamonica, Licio Gelli. Sono nomi di persone che sono andati a finire sui giornali, con la loro morte e con la loro storia. Ma uno si differenzia da tutti per una cosa non piccola: non ha avuto i funerali in chiesa.
Eppure Piergiorgio Welby è l’unico che non avesse i suoi peccati nelle pagine della cronaca nera ma, come tutti noi, solo sulla propria coscienza. È vero, Welby fece della sua morte un manifesto del diritto a morire perché riteneva che fosse in suo potere decidere quando dovesse avvenire il proprio “fine vita”: gli altri, però, fecero della loro vita un manifesto al potere di decidere sul fine vita altrui. Ci sono le sentenze a dirlo, c’è la storia di Roma, d’Italia e d’America a dire cosa si è visto della loro vita. E, dopo il suicidio di Luigino,tutti ormai sappiamo che il potere della finanza che imbroglia, del potere per il potere, è anche peggio di quello delle pistole e dei crimini conclamati.
Piergiorgio Welby non era a capo di nulla e la sua fedina penale è sconosciuta. Gli altri sono tra i fondatori o tra i protagonisti del crimine organizzato recente e passato, italiano e internazionale. La loro vita – per chi ci crede – ora è davanti a Dio, in Dio, ma i funerali sono stati diversi. Bisogna che la chiesa trovi il modo di valutare in modo equo anche le vite di chi toglie la vita, se vuole essere credibile quando valuta la vita di chi si toglie la vita.
Io da più di un anno sottolineo come non sia congruo scomunicare chi abortisce e non farlo con i mafiosi e con i massoni. Lo scrivo da quando il Papa, nella diocesi di Galantino, gridò che “i mafiosi sono scomunicati”. Ma i mafiosi, in verità, non sono mai stati scomunicatidavvero: tutto è rimasto come prima.
E lo stesso vale per i massoni. Per questo Gelli ha avuto il funerale in chiesa: o vogliamo fare il gioco delle tre carte e dire che il nostro illustre toscano era stato espulso dalla massoneria? Davanti a Dio le cose non cambiano. La morte, come ci ricorda Totò, è “una livella” per cui sotto terra siamo tutti uguali. Per questo sarebbe bello che questa uguaglianza fosse anche quella parrocchiale. Quella dove andiamo a chiedere il sangue per un parente che sta male, una badante per la nonna, un consiglio, la Messa la domenica, gli orari del catechismo dei figli. E il funerale di una persona cara. Sì. Perché nessuno andrà in cielo in carrozza ma tutti a capo chino.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingotnpost
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