Una “N” sulle tende. Come “nazareno”. Il segno usato dagli estremisti islamici per segnalare le case degli “infedeli”. Ora simbolo di orgoglio, di appartenenza. Lo disegnano i rifugiati, i cristiani cacciati dalle zone dell’Iraq dove il sedicente Stato islamico ha preso il sopravvento.
Lo racconta don Georges Jahola, sacerdote siro-cattolico della diocesi di Mosul, in questi giorni in Italia, invitato dall’associazione “Angelo custode”. Nei campi profughi di Erbil — continua — «dove molti cristiani sono stati costretti a rifugiarsi in fuga da Mosul e Qaraqosh, nessuno ha avuto paura di scrivere nelle tende che li ospitano frasi come “Gesù è luce nel mondo”, o la lettera “N” in caratteri arabi che significa nazareno. Non hanno paura di essere scoperti, sono coraggiosi e fieri».
Degli oltre un milione e mezzo di cristiani che l’Iraq contava negli anni ’80, oggi ne sono rimasti trecentocinquantamila. Ora, racconta don Jahola, «siamo l’1,5 per cento della popolazione. Una popolazione che sta per essere eliminata o costretta ad abbandonare la propria terra». Nessuno bada a questo dramma, «perché i cristiani in Iraq non hanno appoggi», «non sono considerati elementi essenziali nella società».
Nonostante il pericolo della scomparsa i cristiani non hanno nessuna intenzione di abbandonare la loro fede: «Non c’è motivo per cui un cristiano debba diventare musulmano. Non lo vogliono fare».
Redazione Papaboys (Fonte L’Osservatore Romano, 30 agosto 2015)