L’introduzione del reato avvenne nel 2009 con il ‘pacchetto sicurezza’, dietro una spinta ideologica della lettura dell’immigrazione nel nostro Paese che di fatto non ha che generato illegalità, insicurezza, sfruttamento, oltre che criminalizzare le persone immigrate, favorendo una gestione ‘padronale’ delle nostre città. L’abolizione del reato di clandestinità è, invece, coerente con la necessità di riconoscere le diverse situazioni delle persone che arrivano in Italia da 200 paesi del mondo, prima di rinchiuderlo nelle carceri e nei CIE. E’ la vittoria di una politica che legge il Paese reale, che per uscire dalla crisi ha bisogno di valorizzare la risorsa dell’immigrazione.
E’ la vittoria della cultura dell’ospitalità di persone diverse, valorizzandone la storia personale e costruire una presenza regolare. Dal 2009 ad oggi nel nostro Paese troppe volte abbiamo perso occasioni e risorse – basti pensare a cosa sono costati allo Stato i migliaia di procedimenti amministrativi e penali alla luce dell’introduzione del reato – nell’inventare strumenti inutili di pressione sull’immigrazione, anziché iniziare un iter per rinnovare una legge sull’immigrazione che di fatto non ha permesso l’incontro fra domanda e offerta di lavoro, creando irregolarità, sfruttamento, perdita di risorse significative per costruire i necessari percorsi di integrazione nella scuola, nella salute, nella partecipazione che le migrazioni chiedono all’Italia.
La scelta del Senato di abolire il reato di clandestinità speriamo sia un segnale politico per una lettura e un governo diverso delle migrazioni e per il passaggio – come ha richiamato Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato 2014 – “da una cultura dello scarto alla cultura dell’incontro”. Di questo ha bisogno il nostro Paese.
Gian Carlo Perego (Direttore Generale Fondazione Migrantes)
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