Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano per Vaticannews.va
È vuota la poltrona bianca sul palco rosso allestito sul Monte Celio, sovrastato dal Crocifisso ardente simbolo delle croci che oggi affliggono l’umanità. Il Papa anche quest’anno – come già nel 2023, quando era degente da pochi giorni dal ricovero al Gemelli per una bronchite infettiva – non è al Colosseo a presiedere la Via Crucis insieme ai circa 25 mila fedeli radunati nei Fori Imperiali dal pomeriggio, ma segue la preghiera del Venerdì Santo da Casa Santa Marta. Una scelta dettata dalla volontà di “conservare la salute in vista della Veglia di domani e della Santa Messa della domenica di Pasqua”, come informa una comunicazione della Sala Stampa vaticana giunta poco dopo le 21, mentre tra le vie monumentali della Roma antica, blindate e sorvegliate, già riecheggiava l’Agnus Dei del coro della Cappella Sistina.
Il dolore dell’umanità nelle meditazioni del Papa
Il Papa, però, è presente. È presente, e quest’anno più che mai, con le meditazioni redatte di suo pugno per la prima volta in undici anni di pontificato. “Nell’Anno della Preghiera ci uniamo al cammino della tua preghiera”, recitano i lettori. Quattordici riflessioni, tante quante le stazioni che fanno memoria del cammino di Cristo verso il Golgota, in cui – senza riferimenti diretti all’attualità ma con un approccio contemplativo che tutta la riassume – si condensa il dolore degli uomini e delle donne di questo tempo, feriti dalle morti, dalle delusioni, dai fallimenti di progetti, feriti dai conflitti che si consumano in Paesi e città, in case e luoghi di lavoro; feriti dalle violenze sul corpo delle donne, vittime di “oltraggi”, o quelle che si registrano nel mondo virtuale, assediato da haters che usano la tastiera “per insultare o emettere sentenze”.
Sciogliere i cuori induriti
Le parole scritte dal Papa, scandite dalle voci dei tre lettori in mezzo ad un sempre suggestivo silenzio, interrotto solo dal garrito dei gabbiani, si fanno preghiera e poi dialogo, poi introspezione e poi confessione. E infine invocazione, perché si sciolgano i cuori induriti, quelli che impediscono di reagire anche dinanzi “alla follia della guerra, a volti di bimbi che non sanno più sorridere, a madri che li vedono denutriti e affamati e non hanno più lacrime da versare”. Invocazione perché ci si rialzi da ogni caduta, perché “il pianto si trasformi in canto”, perché si trovi il “coraggio” del perdono, perché la luce vinca le tenebre che attanagliano quest’ora della storia.
Migranti, disabili, famiglie, giovani, consacrati a portare la Croce
La processione prende il via dalla cavea del Colosseo, illuminata dal baluginio delle fiaccole che disegnano un gioco circolare di luci nel cielo nero ma terso di Roma. Per cinque stazioni si snoda tra le gallerie dell’Anfiteatro Flavio, simbolo dell’Urbe e di antico martirio; mentre le restanti nove percorrono il Parco del Palatino. Il cardinale vicario Angelo De Donatis, e alle sue spalle i vescovi ausiliari della Diocesi di Roma, guidano il cammino. Fanno invece da “cruciferi”, a turno, suore di clausura e un eremita, residenti in una Casa Famiglia, ospiti di una Comunità di recupero e assistenza sociale, una famiglia, disabili, membri di gruppi di preghiera, sacerdoti confessori in alcune Basiliche romane, donne impegnate nella pastorale sanitaria. E ancora, un gruppo di migranti, catechisti, parroci romani, giovani, consacrate, operatori della Caritas diocesana.