Durante il volo di ritorno dal Cairo, Francesco parla dei rifugiati e apprezza gli sforzi dell’Italia. Risposte sulla vicenda del ricercatore friulano ucciso ma non rivela i contenuti dell’incontro con il presidente Al-Sisi. Tra i temi dell’intervista: i populismi in Europa, le tensioni Usa-Corea del Nord, la situazione in Venezuela
VOLO IL CAIRO-ROMA – “Sono preoccupato per il caso Regeni, la Santa Sede si è mossa”. Così Francesco durante il volo di ritorno dal Cairo, diciottesimo viaggio fuori i confini italiani. Il Papa parla del caso Regeni, dei populismi in Europa, della necessità che in Corea del Nord “si proceda con la strada della diplomazia”. “Una guerra allargata oggi – dice – distruggerebbe buona parte dell’umanità, è terribile. Fermiamoci! Serve una soluzione diplomatica e un intervento delle Nazioni Unite che hanno il dovere di riprendere la loro leadership perché si è un po’ annacquata”. È ancora il tempo di un partito dei cattolici? “No, non siamo nel secolo scorso”. “L’unico estremismo ammesso per i credenti – ha invece detto nella messa della mattina – è quello della carità”. Parole dure sui migranti insieme all’apprezzamento per gli sforzi dell’Italia: “Esistono dei campi per rifugiati che sono veri campi di concentramento”.
Ieri ha incontrato il presidente Al-Sisi: avete parlato di diritti umani e del caso di Giulio Regeni? Si potrà conoscere la verità?
“Quando sono con un capo di Stato in dialogo privato quello rimane privato, almeno che si sia d’accordo nel renderlo pubblico. Io ho avuto quattro dialoghi privati qui, e credo che se è privato, per rispetto, si deve mantenere la riservatezza. A proposito di Regeni: io sono preoccupato, e dalla Santa Sede mi sono mosso su quel tema, perché anche i genitori lo hanno chiesto. La Santa Sede si è mossa. Non dirò come ma ci siamo mossi”.
In generale lei ha parlato molto della terza guerra mondiale a pezzi. Ma sembra che questa guerra mondiale si sia concentrata in Corea del Nord. Trump ha mandato delle navi militari, la Corea del Nord ha minacciato di lanciare missili… Cosa vuole dire ai leader politici che hanno la responsabilità nel mondo?
“Li chiamo e li chiamerò a un lavoro per risolvere i problemi sulla strada della diplomazia. Ci sono i facilitatori, tanti nel mondo, i mediatori. Ci sono Paesi come la Norvegia, soltanto per fare un esempio, che è sempre pronta ad aiutare. La strada è il negoziato, la soluzione diplomatica, che è il futuro dell’umanità. Questa guerra mondiale a pezzi della quale parlo da due anni si è concentrata in punti che già erano caldi. La questione dei missili in Corea c’è da tempo e si è riscaldata troppo. Io chiedo di risolverla con la strada diplomatica. Perché una guerra allargata distruggerà non dico la metà dell’umanità, ma una buona parte dell’umanità sì. Sarebbe terribile. Guardiamo ai tanti Paesi che soffrono una guerra al loro interno, in Medio Oriente ma anche in Africa e nello Yemen. Fermiamoci! E cerchiamo una soluzione diplomatica. Credo che le Nazioni Unite abbiamo il dovere riprendere la loro leadership perché si è un po’ annacquata”.
Vuole incontrare Trump?
“Non sono stato ancora informato dalla segreteria di Stato se è arrivata una richiesta, ma ricevo ogni capo di Stato che chiede udienza”.
Ieri ha parlato del fatto che la prosperità e lo sviluppo meritano ogni sacrificio e che insieme è importante il rispetto dei diritti inalienabili dell’uomo. È stato il suo un supporto al governo egiziano che cerca di difendere i cristiani?
“Io ho parlato dei valori in sé stessi, del difendere la pace, l’armonia dei popoli, l’uguaglianza dei cittadini, qualsiasi sia la religione che professano. Sono valori e io ho parlato dei valori. Se un governante difende uno o l’altro di questi valori è un altro problema. Ho fatto finora 18 viaggi e in parecchi Paesi ho sentito: “Il Papa appoggia questo o quel governo?. Sempre un governo ha le sue debolezze o i suoi avversari politici che dicono una cosa e un’altra. Io non mi immischio, parlo dei valori, ognuno veda e giudichi se un governo o uno Stato porta avanti questi valori”.
Parliamo della Francia. I cattolici francesi sono tentati dal voto populista ed estremo e sono divisi tra due candidati. Quali elementi di discernimento può dare a questi elettori?
“C’è un problema dell’Europa e dell’Unione Europea. Quello che ho detto sull’Europa non lo ripeterò. Ne ho parlato già quattro volte. Ogni Paese è libero di fare le scelte che crede convenienti, io non posso giudicare se una scelta la si fa per un motivo o per un altro motivo, perché non conosco la politica interna… È vero comunque che l’Europa è in pericolo di sciogliersi. Dobbiamo meditare. C’è un problema che spaventa e forse alimenta questi fenomeni, ed è il problema dell’immigrazione. Ma non dimentichiamo che l’Europa è stata fatta dai migranti, da secoli e secoli di migranti, siamo noi. È un problema che si deve studiare bene, rispettando le opinioni, una discussione politica con la lettera maiuscola, la grande politica. Sulla Francia: dico la verità, non capisco la politica interna francese e ho cercato di avere buoni rapporti anche col presidente attuale. Dei due candidati francesi non so la storia, non so da dove vengono, so che una è una rappresentante della destra, ma l’altro non so da dove viene e per questo non so dare un’opinione. Parlando dei cattolici, un giorno uno mi ha detto: “Perché non pensa alla grande politica?. Intendeva fare un partito per i cattolici! Ma questo signore buono vive nel secolo scorso!”.
Qualche giorno fa ha paragonato i campi dei rifugiati a dei campi di concentramento. È stato un lapsus?
“Dovete leggere bene quello che ho detto. Ho detto che Italia e Grecia sono stati i Paesi più generosi. Ho sempre ammirato anche la Germania per la sua capacità di integrazione. Quando studiavo a Francoforte ho visto tanti turchi integrati, tanti che svolgevano una vita normale. Esistono però i campi dei rifugiati che sono dei veri campi di concentramento. C’è n’è qualcuno forse in Italia, qualcuno in qualche altra parte, in Germania no. Cosa può fare la gente che è chiusa in un campo e non può uscire? Pensi a cosa è successo nel Nord Europa quando alcuni migranti volevano prendere il mare per andare in Inghilterra…erano chiusi dentro. Mi ha fatto ridere – è un po’ nella cultura italiana – quanto avvenuto in un campo di rifugiati in Sicilia, me lo ha raccontato un delegato dell’Azione Cattolica della diocesi di Agrigento. I responsabili di un campo hanno parlato alla gente del posto e hanno detto ai rifugiati che rimanere chiusi dentro avrebbe fatto male alla loro salute mentale: “Dovete uscire ma per favore non fate cose brutte. Noi non possiamo aprire la porta, ma facciamo un buco dietro, così uscite e fate una passeggiata”. E così si sono costruiti buoni rapporti con gli abitanti di quel paesino: i migranti non fanno atti di delinquenza o criminalità. Ma stare chiusi è un lager…”.
Quali sono le prospettive dei rapporti con gli ortodossi russi e copti? Come valuta il rapporto fra il Vaticano e la Russia alla luce delle difese dei valori in Medio Oriente e in Siria?
“Con gli ortodossi ho sempre avuto una grande amicizia fin dai tempi di Buenos Aires. Ogni 6 gennaio andavo ai vespri nella loro cattedrale. Stavo due ore e quaranta in preghiera in una lingua che non capivo, ma si poteva pregare bene. Poi c’era la cena della veglia del Natale con 300 persone, la tombola, la lotteria. Alcune volte avevano bisogno di un’assistenza legale e venivano dagli avvocati della diocesi. Ho sempre avuto buoni rapporti, di filiale e fraterna amicizia. Siamo chiese sorelle. Col patriarca copto egizio Tawadros ho un’amicizia speciale, per me è un grande uomo di Dio, è un patriarca, un Papa che porterà la Chiesa avanti, il nome di Gesù avanti, ha un grande zelo apostolico. È uno dei più “fanatici” nel trovare una data comune per celebrare la Pasqua, e anche io sono come lui. Cerchiamo il modo, lottiamo. È un uomo di Dio: quando era vescovo andava a dare da mangiare ai disabili. È stato mandato in una diocesi con cinque chiese e ha lasciato tante famiglie cristiane. Poi ci sono state le elezioni per il patriarca. Sono stati messi i nomi in un’urna e un bambino ha fatto la scelta. Lì è il Signore che sceglie. Tawadros è un grande patriarca. Con lui abbiamo fatto una dichiarazione comune nella quale l’unità del Battesimo è la decisione più importante. Anche il patriarca dei giordani è un uomo di Dio, è un mistico. Noi cattolici dobbiamo imparare questa tradizione mistica delle chiese ortodosse. In questo viaggio abbiamo fatto questo incontro ecumenico con Bartolomeo, con l’arcivescovo greco ortodosso, gli anglicani… L’ecumenismo si fa infatti in cammino con le opere di carità, facendo le cose insieme. Non esiste un ecumenismo statico. È vero che i teologi devono studiare, ma non si farà se non si cammina, se non si fanno opere di carità insieme. Anche col patriarca Kirill ho buoni. Ilarion è venuto parecchie volte a parlare con me e abbiamo un buon rapporto. La Russia fa bene a parlare contro le persecuzioni dei cristiani. Oggi ci sono più martiri dei primi secoli in Medio Oriente”.
In Venezuela la situazione sta peggiorando. Che cosa si può fare? Il Vaticano può fare una mediazione?
“C’è stato un intervento della Santa Sede su richiesta dei quattro presidenti che stavano lavorando come facilitatori, ma la cosa non ha avuto esito perché le proposte non sono state accettate o venivano diluite. Tutti sappiamo la difficile situazione del Venezuela, un Paese che io amo molto. So che ora stanno insistendo, non so bene da dove, credo ancora da parte quattro presidenti, per rilanciare questa facilitazione e stano cercando il luogo. Ci sono già opposizioni chiare, la stessa opposizione è divisa e il conflitto si acutizza ogni giorno di più. Siamo in movimento. Tutto quello che si può fare, bisogna farlo, con le necessarie garanzie”.
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IL VIDEO DI PAPA FRANCESCO A BORDO DEL VOLO DI RITORNO DALL’EGITTO
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Fonte: Repubblica on line