Dal selfie degli stupratori alla carrozza dei Casamonica. C’è bisogno del palcoscenico del male?

Una ragazza americana è stata stuprata in un noto locale di Sorrento. Nel bagno un primo stupro dal ragazzo che aveva conosciuto da poco e poi, una seconda volta nella stessa serata, da lui stesso e da un amico. Che poi, secondo la ricostruzione dei fatti, si fanno un selfie e lo postano su Facebook con il titolo “‘O sole ‘o mare”.

Forse perché sono scosso dall’altra Messa in suffragio di Vittorio Casamonica ma il selfie di questi due violentatori e la carrozza con le ruote d’oro e i cavalli neri, il sorriso che ostentano quei due e i petali di rosa gettati dall’elicottero, il titolo “‘O sole ‘o mare” e la musica del Padrino, si miscelano dentro di me e generano indignazione e domande.

La violenza sessuale è purtroppo una storia vecchia ma in quel selfie c’è qualcosa di nuovo che infetta e rende ancora più desolante il male: il “nuovo” si chiama palcoscenico. Sempre più spesso il male sembra aver bisogno di una visibilità tanto scandalosa quanto smargiassa e cafona. Indecente. Indecorosa. Senza vergogna. Il male non andrebbe nascosto? Almeno per paura della Polizia, del carcere.

Lì dove la coscienza non brucia, lì dove la vergogna per il male fatto non fa abbassare gli occhi, lì dove la paura di una pena non fa nascondere, cosa può fermare un uomo? Senza coscienza, senza vergogna, senza paura, un uomo cos’è? Cosa fa? Il funerale di Vittorio Casamonica può essere solo un motivo culturale, di modalità particolare di vivere il dolore? Una famiglia con un nome pesante da portare perché fa un funerale che tutta l’Italia lo sa e ne parla? Cosa vogliono dire petali dal cielo, palme sotto le ruote, cocchi dorati, pennacchi neri, santini come stendardi papali?

Perché? Davvero solo culture diverse? E, tornando alla tragedia dello stupro di ieri, perché un selfie a notte passata, a pantaloni rialzati, a doccia fatta? Tutto normale e tranquillo? “‘O sole ‘o mare”, il commento sotto la foto postata dal gruppo, mi fa pensare a tutte le foto di tramonti, albe, sole a picco che abbiamo postato in queste nostre vacanze. Di quelle foto ci piaceva la luce, quello che avevamo visto noi e volevamo condividere con gli altri. Volevamo donare una cosa bella: un tuffo con gli amici in un mare bellissimo. Quel selfie cosa dona? Hai fatto una cosa orribile, di quelle che hanno bisogno del buio, non della luce. Da lì non arriva nessun profumo di luce e di mare, ma puzza di marciume per il nero del sangue e dei lividi.

All’interno di un clan mafioso, la visibilità del male un po’ te la spieghi; forse è un segnale di forza alle altre cosche, una minaccia ai vessati, un’irrisione alla polizia. Ma mi preoccupa tremendamente se il bisogno di palcoscenico tracima dalla malavita organizzata ai giovani della normale società civile. Di cosa sorridono? Di cosa non hanno paura?

Forse abbiamo sbagliato – io per primo – a togliere ai bambini la vergogna per una marachella? Forse è il momento di tornare sui nostri passi? Forse dobbiamo accettare che tabù e vergogna, a volte, non sono massi che ci schiacciano ma confini e campanelli che ci dicono che abbiamo superato il limite, quello del bene e del male.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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