Damiano Tommasi è quanto di più lontano ci si possa immaginare dallo stereotipo del calciatore che pensa solo al conto in banca. Sarà perché nel 2005, fermato da un grave infortunio, si ridusse lo stipendio a 1.500 euro al mese, sarà per il comportamento sempre leale o perché non si è mai tirato indietro per iniziative sociali, ma negli anni Tommasi si è guadagnato la menzione di “anima candida del calcio”.
«Ho sempre cercato di fare al meglio il mio lavoro, ma non sempre ci riesco e, soprattutto, non sono l’unico!», dice con umiltà. «Seguo le mie idee e questo ha spiazzato alcuni, ma davvero ci sono tanti che lavorano con serietà, tenendo fede ai propri principi».
L’AZZARDO NON È UN GIOCO
Un “angelo” dai boccoli neri che oggi, come presidente dell’Associazione italiana calciatori, non ha perso la grinta del centrocampista di successo. Recentemente Tommasi si è scagliato contro l’accordo fra Federcalcio e Intralot, società di scommesse, per la sponsorizzazione degli Azzurri: «Non si tratta di un gioco, è azzardo! È una vergogna che la Nazionale sia sponsorizzata da un prodotto che può causare dipendenza e, per di più, vietato ai minori: è diseducativo».
RESPONSABILITÀ E IMPEGNO
Quando rincorreva il pallone e fermava gli avversari, mister Fabio Capello lo definì un «giocatore atipico» perché «si muoveva in una zona del campo indefinita». Atipico Tommasi lo è anche oggi quando usa parole come responsabilità, etica e impegno. «Voglio far conoscere la categoria oltre i pregiudizi e rappresentare al meglio lo spirito di tanti ragazzi che giocano a calcio per lavoro. Lo sport professionistico ha una grande responsabilità: la sfida è utilizzare la visibilità dei grandi campioni per trasmettere anche bei messaggi. In Italia il calcio coinvolge moltissime famiglie, a tutti i livelli; ha valenza educativa come gioco di squadra e contribuisce all’integrazione abbattendo le discriminazioni: è una palestra di vita».
Un uomo che fa del valorizzare il buono la sua missione, anche in un mondo che naviga fra business non sempre trasparenti. «Dire che i calciatori sono strapagati è vero, ma è riduttivo. Non sono soldi regalati, chi arriva in Serie A supera una concorrenza altissima a costo di grandi sacrifici. Fare il professionista è complicato: oltre al talento, è l’impegno a fare la differenza. Devi essere più bravo di altri milioni di ragazzi e non solo italiani. La vita dei campioni non è tutta rose e fiori, ad esempio ci si allontana da casa molto presto».
LA FATICA DEL CRESCERE
Nella sua carriera Tommasi ha superato le insidie in cui frequentemente si imbattono i giocatori ? dalla fatica a mantenere rapporti sinceri con gli altri, al controllo della propria persona, travolta dal successo, fino alla depressione ? grazie alla fede. «Sono nato in un piccolo paese di montagna (Negrar, alla porte di Verona, ndr) dove la parrocchia è il cuore della comunità. Come per osmosi sono cresciuto nella spiritualità della Chiesa, così quando la vita mi ha messo davanti tante responsabilità ho saputo dove attingere forza».
La chiamata nelle giovanili del Verona, a 16 anni, è per Tommasi un banco di prova. «Le giornate iniziavano presto la mattina e finivano tardi la sera. Dovevo andare bene a scuola e, allo stesso tempo, dedicarmi all’attività sportiva. Passavo molto tempo da solo, soprattutto quando andavamo in trasferta, e così mi facevo tante domande». Portare a termine gli studi, ricorda oggi, è stata un’impresa. «Riuscirci mi ha rinfrancato e motivato: ho capito che quando si decide di fare qualcosa e ci si impegna, i risultati prima o poi arrivano». Una lezione che gli è stata poi utile nel 2004, annus horribilisdell’infortunio che rischiava di fargli chiudere in anticipo la carriera. «Sono stati mesi duri, ma l’esperienza mi ha confermato che nella vita determinazione e costanza ripagano degli sforzi».
L’ESEMPIO DI DON MILANI
Fra i suoi maestri Tommasi cita don Lorenzo Milani, il priore che dedicò la vita ai ragazzi e alla scuola di Barbiana: «Sono obiettore di coscienza, don Milani l’ho scoperto durante il servizio civile. Oggi, da genitore di studenti, tengo presente i suoi insegnamenti. Come don Milani mi sento in ricerca, mi piace scoprire, conoscere, approfondire. Mi ritengo contento della mia famiglia e di quello che riesco a fare. Certo, poi c’è sempre un pizzico di insoddisfazione, ma lo vedo come uno stimolo ad andare avanti. Vorrei passare questo spirito ai miei figli oltre, naturalmente, alla testimonianza di fede: come cristiano sento che non siamo soli e che ci possiamo affidare a Dio».
L’AMORE PER CHIARA
Al centro della vita di Tommasi c’è sempre stata la famiglia. «I miei genitori hanno trasmesso a me e ai miei quattro fratelli la bellezza della condivisione. Mio papà, che era uno sportivo, mi ha poi insegnato la serietà». Così oggi con la moglie Chiara, conosciuta fra i banchi della scuola superiore e sposata vent’anni fa, condivide la gioia di crescere sei figli, dalla primogenita di 19 anni, all’ultima arrivata, di appena un anno e mezzo. «Sempre più spesso sento dire in giro che “l’altro dà fastidio” e questa cosa mi preoccupa. Io sono contro i muri e vorrei insegnare ai miei figli che gli altri sono una risorsa».
La biografia. PADRE DI SEI FIGLI
Damiano Tommasi vive a Verona con la moglie Chiara e i loro sei figli di 19, 17, 13, 10, 6 e un anno e mezzo. «Il merito della nostra famiglia numerosa va a mia moglie che sostiene egregiamente le maternità e ha una grande passione educativa. Nonostante i numeri siamo una famiglia normale: riusciamo a cenare al completo solo un paio di volte a settimana, ma i tanti compleanni sono una buona occasione per stare insieme». Tutti i figli di Tommasi si divertono a giocare al pallone, come tanti altri ragazzi. «Ma fare il calciatore è un’altra cosa, non basta voler giocare in serie A». E per prendere tutti in contropiede ? come faceva papà in campo ? il più piccolo dei maschietti Tommasi ha già dichiarato che da grande vorrebbe fare il contadino.
Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/Laura Bellomi)
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