Categorie: Caritas et Veritas

Decidersi per Cristo è dare senso all’esistenza

La questione più grave, la questione decisiva, la questione vera di quest’ultimo scorcio del secondo millennio, è la questione di Gesù Cristo. È o non è risorto, è o non è in questo momento realmente, fisicamente, corporalmente vivo? È o non è il Salvatore necessario di tutti gli uomini? È o non è il Figlio proprio e unico di Dio, il solo che ha potuto dire: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9)? Non ci sono risposte intermedie: a queste domande si risponde o con un sì o con un no. La logica qui non consente ambiguità o compromessi. E, a seconda della risposta, tutto cambia. Quando si tratta di noi, delle nostre idee, delle nostre iniziative, delle nostre organizzazioni, è giusto essere comprensivi, accoglienti, pronti a collaborare con tutti, capaci di apprezzare quanto di positivo si incontra nel pensiero e nell’agire degli altri, anche dei più lontani. Difatti Gesù ci ha detto: “Chi non è contro di voi, è per voi” (Lc 9,50). Ma quando si tratta di lui, dell’Unigenito del Padre che è morto per noi ed è risorto, bisogna decidersi. Ce lo ha insegnato lui stesso con una delle sue frasi taglienti: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde”

(Mt 12,30). Ma la questione di Cristo appare oggi annebbiata dalla confusione che avvolge un po’ tutti: confusione religiosa, confusione ecclesiale, confusione ideologica. C’è chi identifica il dovere del dialogo, della tolleranza, anzi della cortesia verso tutti con la rinuncia a cercare, a conoscere, a difendere la verità.

C’è chi scambia la benevolenza che dobbiamo avere per tutti gli uomini e il desiderio che tutti arrivino alla salvezza, con la disponibilità comoda e deplorevole a lasciare che tutti restino tranquillamente nelle tenebre e nell’ombra della morte (cf Lc 1,79). E c’è chi, non volendo assumersi la responsabilità e l’impegno di decidere, si rifugia nel relativismo (che ritiene che tutte le convinzioni siano interscambiabili, come i posti sull’autobus) e si persuade che si possa scegliere a piacimento tra una religione e l’altra, e addirittura tra la verità e l’errore, così come si sceglie tra l’andare in vacanza al mare e l’andare in montagna. Gesù ha detto: “Chi non è con me, è contro di me”: dunque o gli si dice di sì o gli si dice di no. Entrando nella Città Santa, Gesù si è messo volontariamente nelle mani dei suoi nemici. Oggi egli corre il pericolo di un’altra disavventura. Molti lo esaltano e dicono di stare con lui; ma poi gli cambiano le parole in bocca e gli fanno dire quello che vogliono loro. Quante volte veniamo a sapere di gente, magari anche colta e famosa, che impavidamente dichiara: “Secondo me, Cristo ha detto così; secondo me Cristo ha fatto cosà”; senza nemmeno prendersi la briga di controllare sui testi e sui dati storici. Ma il Vangelo non è un “secondo me”: è un “secondo lui“. C’è un mezzo molto semplice per conoscere il pensiero autentico di Gesù; ed è quello di prendere il libro dei vangeli e di leggerlo. Subito ci si avvede che praticamente a ogni pagina egli parla soprattutto di due argomenti: il suo Regno (che è il “Regno di Dio”

) e il Padre suo (che è anche il Padre nostro). Prima di tutto il “regno”.

 

Nei tempi moderni i re diventano sempre più rari e sempre meno rilevanti nella vicenda delle nazioni. Questo ci aiuta a renderci conto più agevolmente che uno solo davvero regna in senso assoluto. Su questo punto Gesù non è stato ambiguo o reticente. Anche di fronte al rappresentante dell’imperatore romano, che si riteneva l’unico sovrano del mondo, non ha esitato ad affermare la sua regalità: “Pilato gli disse: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re; per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Anche noi abbiamo stasera reso testimonianza alla verità e abbiamo manifestato la nostra certezza che l’universo ha un solo Signore. Non ha – come qualcuno sembra pensare – un “consiglio di reggenza”, formato dalle varie divinità e dai vari fondatori di religione.

La prima lettera ai Corinti ci ha conservato la professione di fede della prima comunità cristiana, che dice proprio così: “Anche se vi sono molti così detti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e molti signori, noi abbiamo un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo finalizzati a lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo per mezzo di lui” (cf 1 Cor 8,5–6). Per questa fede, quei nostri antichi fratelli hanno versato il loro sangue nel martirio. L’altro grande tema dei discorsi del nostro unico Salvatore è il Padre. “Il Padre vi ama” (cf Gv 16,27). Dall’alba dell’umanità non era mai risonata parola più bella e consolante di questa: Gesù la pronuncia nell’ultima cena, alla vigilia di morire per noi. Ed è come la sintesi di tutto il suo Vangelo. È la più breve e la più elementare delle frasi; ma racchiude in sé ogni luminosa e necessaria certezza. Il Padre ci ama, non dimentichiamolo mai. Quando arriveranno i momenti difficili e saremo tentati di disanimarci; quando ci sentiremo soli e trascurati da tutti; quando ci soffocherà l’indifferenza o l’ostilità di chi ci sta attorno, ricordiamoci che il Padre ci ama, e il suo amore è in grado di farci superare ogni difficile passo. Celebrare la Pasqua in fondo vuol dire riscoprire che in un mondo che tanto spesso ci appare dominato dall’egoismo, dall’odio, dal male, c’è una sorgente misteriosa e potente d’amore, che è sempre attiva. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Questo è nella sostanza l’evento di salvezza che ci accingiamo a rivivere nei prossimi giorni. L’augurio pasquale più vero è che ci sia dato di rispondere all’amore con l’amore: con l’amore autentico, con l’amore che si dona, con l’amore che sa anche sacrificarsi. Perché – ed è una delle prime e più belle parole del magistero di Giovanni Paolo II – l’uomo non può vivere senza amore”. Cardinale Giacomo Biffi

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