Chi appartiene alla mafia vive in opposizione al Vangelo e alla Chiesa e, dunque, non può essere padrino di battesimo o di cresima. Non lascia spazio a dubbi o a interpretazioni ambigue la presa di posizione dell’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, la cui diocesi abbraccia un vastissimo territorio storicamente ad alta densità mafiosa, con località che hanno dato i natali a boss sanguinari come Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Gaetano Badalementi.
«Non possono essere ammessi – scrive Pennisi – all’incarico di padrino di battesimo e di cresima coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che, con il loro comportamento, provocano scandalo; coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici e hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato».
Il decreto che stabilisce criteri definitivi sulla scelta dei padrini e delle madrine è stato emanato ieri, dopo l’approvazione all’unanimità del Consiglio presbiterale diocesano. Una decisione necessaria e ponderata dopo la vicenda scoppiata all’inizio di febbraio, quando si diffuse la notizia che Giuseppe Salvatore Riina, figlio del boss di Cosa Nostra, pure lui condannato per mafia a 8 anni e 10 mesi, era tornato a fine dicembre a Corleone (con un permesso del Tribunale), dopo aver ricevuto a Padova il sacramento della cresima, per fare da padrino di battesimo alla nipotina. Monsignor Pennisi aveva censurato il comportamento del parroco di Corleone, che non aveva informato i suoi superiori. Anche alla luce delle prese di posizione della comunità ecclesiale nei confronti dei mafiosi, i quali, se non hanno mai mostrato segni di pentimento e conversione, sono da considerarsi scomunicati. Lo ha detto chiaramente anche papa Francesco nel suo discorso nella piana di Sibari, il 21 giugno 2014. La mafia è una organizzazione antievangelica e don Pino Puglisi è stato dichiarato martire, perché ucciso da Cosa nostra ‘in odium fidei’, il 15 settembre 1993 a Palermo. Ma il problema è, in realtà, più complesso perché non esiste una normativa valida in ogni territorio.
La scomunica è stata stabilita dall’episcopato siciliano nel 1952 per l’omicidio volontario e la rapina e poi nel 1982 i vescovi, confermando le precedenti scomuniche, ne hanno individuato la matrice mafiosa. Dunque, è valida solo per le Chiese di Sicilia. Monsignor Pennisi, che già tre anni fa aveva emesso un decreto con cui obbligava tutte le confraternite a inserire nello statuto l’esclusione degli appartenenti ad associazioni mafiose, ricorda nel testo del decreto come sia «usanza antichissima della Chiesa» dare al battezzando un padrino o una madrina per «assisterlo, se adulto, nell’iniziazione cristiana », ovvero cooperare con i genitori, se bambino, «affinché conduca una vita cristiana conforme al battesimo». Anche per il cresimando è previsto il padrino, «il cui compito è provvedere che si comporti come vero testimone di Cristo e adempia fedelmente gli obblighi inerenti allo stesso sacramento». Pennisi cita quindi il Codice di diritto canonico, laddove al canone 874 si prevede «che per essere ammesso all’incarico di padrino vi sia una condotta di vita conforme alla fede e all’incarico che si assume». Pertanto, «tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o a essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa».
Fonte www.avvenire.it
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