Delirante chat con video di sevizie e slogan contro malati e disabili. Ragazzi su Whatsapp scoperti dai Carabinieri
.«The Shoah party»: questo il titolo folle, raccapricciante, di una chat su Whatsapp creata da un gruppo di ragazzi italiani in cui si condividevano filmati a carattere pedopornografico, slogan inneggianti a Hitler, a Mussolini e al fondamentalismo islamico e ci si compiaceva di video contenenti sevizie su animali.
Sulla chat — scoperta casualmente dalla madre di un tredicenne residente a Siena, che si è poi rivolta ai carabinieri per denunciare quanto trovato sullo smartphone del figlio — i ragazzi si scambiavano file e video con scene di sesso tra minori, scritte razziste, postavano commenti blasfemi e insulti a bambini malati terminali e disabili. Materiale «disgustoso», così lo hanno definito i carabinieri che per cinque mesi hanno indagato su questa chat, creata e alimentata da un gruppo di ragazzi residenti a Rivoli, in provincia di Torino.
Una trentina in tutto i ragazzi coinvolti negli accertamenti della procura dei minori e della procura distrettuale di Firenze. Tra questi, 20 con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni, cinque maggiorenni e altri cinque non imputabili perché tutti con un’età inferiore ai 14 anni. Perquisizioni sono scattate in 13 province italiane mentre sono stati emessi 25 ordini di perquisizione a carico degli indagati. Nel corso dei controlli sono stati sequestrati decine di telefoni cellulari e computer che saranno affidati a un consulente tecnico d’ufficio per realizzare copie forensi, riproduzioni attendibili dei contenuti spesso indescrivibili delle chat, necessarie per la promozione delle accuse in giudizio. Dopo la denuncia, a gennaio scorso, della madre del tredicenne, i carabinieri si sono finti ragazzi e sono riusciti a entrare nel gruppo. Sono così risaliti agli amministratori della chat, ragazzi maggiorenni e minorenni di Rivoli (Torino), conquistandone la fiducia. Sono così potuti entrare in possesso delle immagini e dei video postati e agli autori dei post. In tempo per raccogliere tutto il materiale utile alle indagini, nonostante gli amministratori abbiano all’improvviso chiuso il gruppo. Da quanto emerso nel corso delle indagini alcuni dei ragazzi coinvolti sono stati aggiunti al gruppo anche in modo inconsapevole e dopo essersi resi conto del contenuto ne sono usciti immediatamente, senza tuttavia denunciare l’accaduto.
L’Osservatore Romano / Edizione 17-18 ottobre 2019