Italiae et Ecclesia

Delpini: «Non disperate dei giovani e della società, Dio ama ciascuno e lo rende capace di amare»

«Non disperate dell’umanità, dei giovani di oggi, della società così come è adesso e del suo futuro: Dio continua ad attrarre con il suo amore e a seminare in ogni uomo e in ogni donna la vocazione ad amare, a partecipare della gloria di Dio.

Ecco, il mio messaggio, il mio invito, la mia proposta, l’annuncio che non posso tacere si riassume in poche parole: la gloria del Signore riempie la terra, Dio ama ciascuno e rende ciascuno capace di amare come Gesù. Vi prego: lasciatevi avvolgere dalla gloria di Dio, lasciatevi amare, lasciatevi trasfigurare dalla gloria di Dio per diventare capaci di amare!». Si chiude così l’omelia nella celebrazione dell’ingresso in Diocesi di monsignor Mario Delpini, nuovo arcivescovo di Milano. Domenica 24 settembre in un Duomo gremito, alla presenza delle autorità civili e militari, davanti a 6 mila fedeli di cui mille sacerdoti; presenti i cardinali Angelo Scola, Francesco Coccopalmerio, Gianfranco Ravasi, Renato Corti e 34 vescovi provenienti dalle Diocesi lombarde e italiane.

Un’omelia di speranza, che punta all’essenziale della fede, dove più volte la parola amore è il filo rosso che la lega. Eppure non fa mistero di una realtà spesso difficile.

«Voglio confermare la profezia stupefatta di Isaia: tutta la terra è piena della sua gloria. La proclamazione – sottolinea Delpini – può suonare un’espressione di euforia stonata nel nostro contesto contemporaneo incline più al lamento che all’esultanza, che ritiene il malumore e il pessimismo più realistici dell’entusiasmo, che ascolta e diffonde con maggior interesse le brutte notizie e condanna come noiosa retorica il racconto delle opere di Dio e del bene che si compie ogni giorno sulla faccia della terra».

Continua Delpini: «Ma il pensiero scettico e una specie di insofferenza nei confronti della rivelazione nascono forse da un malinteso. La gloria di Dio non è una sorta di irruzione trionfalistica. Ma è manifestazione dell’amore, tenacia dell’amore, ostinazione dell’amore di Dio che nel suo Figlio Gesù rivela fin dove giunge la sua intenzione di rendere ogni uomo e ogni donna partecipe della sua vita e della sua gioia. Ecco che cos’è la gloria di Dio: è l’amore che si manifesta. Perciò io sono venuto ad annunciare che la terra è piena della gloria di Dio».

L’esordio della sua omelia dal pulpito alto, per la prima volta da arcivescovo, punta sull’essere «fratelli e sorelle» (citando i versi della poesia “Fratelli” di Giuseppe Ungaretti), «non per pretendere una familiarità, piuttosto per un’intenzione di frequentazione quotidiana, di disponibilità ordinaria, di premurosa, discreta trepidazione per il destino di tutti».

Un essere «fratelli e sorelle» che non è circoscritto alla comunità ambrosiana, ma che intende in maniera larga, comprendendo tutti.

Al «popolo santo di Dio», riafferma uno stile di fraternità e corresponsabilità nella Chiesa: «Esprimo il proposito di praticare uno stile di fraternità, che, prima della differenza dei ruoli, considera la comune condizione dell’esser figli dell’unico Padre. Desidero che si stabilisca tra noi un patto, condividere l’intenzione di essere disponibili all’accoglienza benevola, all’aiuto sollecito, alla comprensione, al perdono alla correzione fraterna, al franco confronto, alla collaborazione generosa, alla corresponsabilità lungimirante».

Ai fedeli delle altre confessioni cristiane, mons. Delpini sottolinea: «Ci unisce la fede in Cristo, ci uniscono secoli di storia condivisa, ci unisce la parola sofferta e profetica: cercate più quello che unisce che quello che divide».

Ai «figli di Israele», ai quali si rivolge «con umiltà e rispetto», l’Arcivescovo ricorda che «abbiamo troppo poco condiviso la vostra sofferenza nei secoli, abbiamo troppe cose comuni per precluderci un sogno di pace comune».

«Riconosco qui convenuti uomini e donne che pregano Dio secondo la fede islamica e altre tradizioni religiose che vivono qui tra noi e lavorano e sperano il bene, per sé e per le proprie famiglie – aggiunge mons. Delpini -. Anche a loro mi rivolgo con una parola che è invito, è promessa, è speranza di percorsi condivisi e benedetti da una presenza amica di Dio che rende più fermi i nostri propositi di bene. Saluto anche loro chiamandoli: Fratelli, sorelle».

Un dialogo che non si limita a chi crede, ma vuole aprire porte e costruire ponti di incontro anche ai tanti non credenti «uomini e donne che ignorano o escludono Dio dall’orizzonte del pensiero». L’Arcivescovo auspica la possibilità «di trovarci insieme in opere di bene per costruire una città dove convivere sia sereno, il futuro sia desiderabile, il pensiero non sia pigro o spaventato».




Un «fratelli e sorelle» destinato anche a coloro che hanno le responsabilità istituzionali. «Mi preme dichiarare un’alleanza, un sentirci dalla stessa parte nel desiderio di servire la nostra gente e di essere attenti anzitutto a coloro che per malattia, anzianità, condizioni economiche, nazionalità, errori compiuti sono più tribolati in mezzo a noi». L’Arcivescovo conferma il ruolo della Chiesa ambrosiana anche in questo campo, ricordando che «i nostri ambiti sono distinti, le nostre competenze diverse, anche i punti di vista non possono essere identici. Eppure lo spirito di servizio, la condivisione della passione civica, la fierezza dell’unica tradizione solidale, creativa, laboriosa milanese e lombarda sono un vincolo».

Ma quale sarà la linea pastorale che imprimerà il nuovo Arcivescovo alla Chiesa ambrosiana? «Non ho altro programma pastorale – dice Delpini – che quello di continuare nel solco segnato con tanta intelligenza e fatica da coloro che mi hanno preceduto in questo servizio, con l’intenzione di essere fedele solo al mandato del Signore, in comunione, affettuosa, coraggiosa, grata, con il santo Padre, Papa Francesco che mi ha chiamato a questo compito e che ispira il mio ministero. Non ho altro desiderio che di incoraggiare il cammino intrapreso da coloro che mi hanno preceduto, in particolare possiamo fare memoria della responsabilità missionaria che ha caratterizzato il magistero dei Vescovi degli ultimi decenni, proprio a sessant’anni dalla conclusione della Missione di Milano indetta e vissuta da Giovanni Battista Montini nel 1957».

Durante la Celebrazione, alla consegna del Pastorale di san Carlo, l’Arcivescovo emerito, il cardinale Angelo Scola, ricordando le parole che aveva detto il cardinale Martini al cardinale Tettamanzi, sottolinea: «Non ti dirò, come i nostri predecessori, che questo pastorale ti sarà pesante, perché la tua lunga esperienza ti consente di saperlo di già. Voglio invece formularti un augurio, in unione con tutti i vescovi delle Chiese di Lombardia di cui sei Metropolita. Con l’aiuto di Gesù, di Maria, dei Santi, dei fedeli e di tutti gli uomini di buona volontà, il Tuo cammino sia spedito e carico di frutti. Quella di oggi è per te un inizio e ogni inizio è una nascita come efficacemente scrive Péguy».




Fonte www.chiesadimilano.it/di Pino NARDI

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