Speciale era la sua devozione per San Michele e San Raffaele Arcangelo
Il 24 ottobre nel calendario liturgico precedente la riforma voluta dal Concilio Vaticano II era una data consacrata alla festa di san Raffaele Arcangelo e nel nuovo calendario c’è la memoria di sant’Antonio Maria Claret che era assai devoto a san Raffaele e a san Michele.
Antonio Maria Claret era nato nel 1807 in Catalogna, Spagna, quinto di dieci figli in famiglia di tessitori, mestiere che egli fece fino a 22 anni quando entrò in seminario.
Questo sacerdote, racconta Aleteia, ha sempre creduto che avesse beneficiato nella città focea dell’assistenza di un inviato di Dio, verosimilmente l’arcangelo Raffaele. Sovente nella sua vita, egli provò la protezione sensibile degli angeli, verso i quali egli nutriva una profonda devozione. Egli annota nei suoi scritti autobiografici che, più di una volta, essi lo hanno aiutato a ritrovare la propria strada quando si era perduto, che lo hanno liberato dai banditi di strada, che hanno svelato i tentativi di assassinio contro di lui quando egli era arcivescovo di Cuba, poi confessore della regina Isabella II di Spagna.
Il sacerdote catalano nutre una solida devozione verso gli angeli quando, nel 1850, con sua grande sorpresa viene nominato arcivescovo di Cuba. In alcuni anni, egli compì un’opera di apostolato immenso, solcando l’isola da parte a parte per visitare le sue parrocchie, pronunciando più di 11.000 sermoni e regolarizzando quasi 30.000 matrimoni. Egli lotta contro la schiavitù, si sforza di migliorare la condizione dei contadini e degli operai fondando le “case del lavoro”, soccorre le vittime del sisma del 1852 (ch’egli ha predetto), visita i malati degli ospedali al momento dell’epidemia di colera che ne consegue, non esitando a curarli con le sue mani.
Questo zelo evangelizzatore gli vale l’odio dei ricchi proprietari terrieri che, a quindici riprese, tentano di farlo assassinare. Ogni volta, egli sfugge provvidenzialmente ai sicari lanciati sulle sue tracce: ora, è uno sconosciuto che lo informa dei loro funesti progetti, ora i colpi sono scartati da una mano invisibile. Fino al giorno in cui una voce interiore lo allerta del pericolo.
Questa volta, egli non vi presta attenzione, poiché diffida dello straordinario: quando esce dalla chiesa di Holguin, un infelice ch’egli ha tratto di prigione si getta su di lui con un rasoio: deviata in extremis in modo inesplicabile, la lama sfiora il suo volto. Fino alla fine della sua vita avvenuta nel 1870 a Fontfroide in Francia, egli ne conserverà la cicatrice sulla gota sinistra. Non esiterà ad attribuire queste protezioni straordinarie al suo angelo custode.
Riguardo alla protezione degli angeli in modo particolare di san Michele, il Claret l’avvertì talmente tanto nella sua vita specie apostolica, da scrivere: “Nelle missioni sperimentavo la protezione della Vergine e degli angeli. La Vergine santissima e i suoi angeli mi hanno guidato per sentieri sconosciuti, mi hanno liberato da ladroni e assassini e mi hanno condotto in porto sicuro senza che nemmeno io riuscissi a capire come. Spesso si sentiva dire che ero stato ucciso e le anime buone avevano applicato per me dei suffragi, li ripaghi il Signore” (Escritos Autobiograficos, Bac, Madrid 1981, p. 268). La protezione della Vergine e degli Angeli nella fatica delle missioni popolari fu per il Claret una indiscutibile costante.
“Nelle missioni non dimenticavo mai di invocare il glorioso Michele Arcangelo e gli angeli custodi, in modo particolare il mio angelo custode, l’angelo custode della Nazione, della provincia, dei paesi e di ogni persona particolare … Ho conosciuto visibilmente la protezione degli angeli custodi …” (Escritos Autobiograficos, Bac, Madrid 1981, p. 206).
1856, 2 febbraio: attentato di Holguìn: in quel contesto, mentre è a riposo forzato pensa all’accademia di San Michele, un’opera ai suoi tempi geniale, che egli stabilirà appena giunto a Madrid.
Ecco appunto: particolarmente significativa fu in lui la devozione a san Michele Arcangelo, che egli aveva voluto patrono della Libreria religiosa e dell’Accademia di San Michele, appunto intitolata all’arcangelo oltre che della sua opera prediletta, la Congregazione religiosa. Nello stemma della Congregazione clarettiana, l’Arcangelo Michele appare presente come un tutore, uno specchio, una sollecitazione ed una spinta. Nel cerchio della sua presenza resta stabilita la missione dell’Istituto: Predicare la Beatissima Vergine Maria, il cui cuore benché trafitto da spada, è fiorito nel destino di lei, predicando da missionari itineranti il Cristo crocifisso e risorto (la croce della morte e il lenzuolo della risurrezione, come radice e compimento dell’umano esistere, dunque nostro destino).
C’è una ragione profonda per questa duplice intitolazione e per questo essenziale patronato: sia la libreria religiosa, sia l’accademia di san Michele, sia la Congregazione clarettiana avevano come scopo quello di resistere alle aggressioni contro la dottrina e la fede dei cristiani attaccate sia dallo strisciante ateismo che, benché partito dagli intellettuali, andava ormai diffondendosi fra le masse aggredite sia dalla propaganda protestante, che, in quel clima di reciprocamente feroce e poco cristiana competizione, turbavano la fede e l’equilibrio delle masse cattoliche.
Lo stesso significato del nome Michele ne dichiara il compito, nomen est omen: chi è come Dio?, e la lotta che quel nome evoca (cfr Ap 12, 7-9) la dicono chiaramente sull’intenzione del Claret: ispirare queste sue opere al convincimento profondo che soltanto Dio può costituire motivo di salvezza e che invano l’uomo cercherebbe la realizzazione della propria speranza fuori dalle possibilità infinite di Dio. O la speranza è religiosa o non è; o il futuro appartiene a Dio o semplicemente non esiste nessun futuro.
Per questa ragione, chiunque promette all’uomo una salvezza assoluta e lo fa prescindendo da Dio, promette il falso e perciò inganna e s’inganna. L’accademia di San Michele ebbe il duplice scopo di approfondire e di testimoniare la fede. Parlando proprio di san Michele, così il santo scrive in un opuscolo del 1859: “Ogni buon sacerdote ed ogni buon laico deve far propria l’attitudine degli angeli in modo da formare un corpo unito e compatto, un solo cuore ed un’anima sola, sotto la protezione e la direzione di san Michele Arcangelo” (Escritos autobiograficos, Bac, Madrid 1981, p. 314, nota 74).
Di Don Marcello Stanzione
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