La prima posizione è quella rinunciataria. Essa considera una legge ingiusta come un legittimo pronunciamento democratico che autorizza pratiche, ormai ammesse dalla opinione pubblica, alle quali bisogna rassegnarsi provvedendo a regolamentarle per evitare vuoti legislativi che favorirebbero il far west. Di conseguenza, si propone di adeguarsi alla legge ingiusta, limitandosi a favorire una “integrale applicazione” di quelle sue norme che possono “limitare i danni”. Al massimo, si prevede di salvaguardare il diritto del cittadino alla libera scelta (pro choice); ad esempio, se la gestante non dev’essere spinta ad abortire, anche il medico non dev’essere costretto a praticare l’aborto ma anzi deve poter fare obiezione di coscienza, purché ciò non vanifichi il godimento del “diritto civile” di abortire. Pertanto, ogni tentativo di combattere una legge ingiusta viene criticato come sintomo di mentalità intollerante e “integrista” che non distingue il peccato dal reato, che non rispetta l’autonomia del temporale dallo spirituale né l’indipendenza politica del laicato; a volte si giunge a dire, ad esempio, che “essere antiabortisti fanatici è peggio che essere abortisti”. Più in genere, si propone che i cattolici rinuncino alla battaglia politica per ripiegare in quella culturale, limitandosi a promuovere una mentalità pro vita e pro famiglia che però sia solo propositiva e non polemica, evitando di mettere in questione le leggi ingiuste. Questa posizione, tipica del “cattolico adulto”, ritiene impossibile far valere i diritti di Dio nel campo legislativo, per cui dimostra mancanza di zelo per la buona causa e assenza di fiducia nell’aiuto divino. Una tale posizione è moralmente inaccettabile e responsabile di aver soffocato non solo l’attività dell’associazionismo pro vita e pro famiglia, ma anche la stessa coscienza pubblica sui “valori non negoziabili”.
La seconda posizione, del tutto opposta alla prima, è quella intransigente. Essa ritiene che una legge gravemente ingiusta sia moralmente illecita e giuridicamente invalida, un’ “anti-legge” che non solo non obbliga in coscienza, ma anzi talvolta obbliga al rifiuto e al contrasto. Pertanto, si propone di usare tutti i mezzi leciti per abolire la legge ingiusta (o per sostituirla con una giusta, se un’abolizione creasse un vuoto legislativo che liberalizzasse la pratica immorale). Nel caso in cui ciò non sia momentaneamente possibile, si propone almeno di abolire quelle gravi norme della legge ingiusta che sono contestate dai giuristi o malviste dalla pubblica opinione in quanto ne offendono la residua sensibilità morale o ne ostacolano leciti interessi. Questa posizione, tipica del cattolico integrale, ritiene che far valere i diritti di Dio in campo legislativo sia non solo possibile ma anche necessario, per cui dimostra grande zelo per la buona causa e piena fiducia nell’aiuto divino. Tale posizione è moralmente lecita ed anzi lodevole e doverosa, purché sia guidata dalla virtù della prudenza (soprannaturale!), che esige di usare tutti i mezzi leciti per far trionfare la buona causa “opportune et importune”, come ammonisce san Paolo.
La terza posizione, intermedia tra altre due, pur essendo difficilmente definibile per la sua ambiguità e variabilità, possiamo chiamarla transigente. Essa non si rassegna né si adegua a una legge gravemente ingiusta, ma crede che abolirla sia inopportuno ed anzi controproducente, perché provocherebbe conseguenze più dannose della sua permanenza. Pertanto, si propone di limitarsi a correggere la legge ingiusta mediante un graduale processo di parziali miglioramenti che ne riducano le norme permissive e ne allarghino quelle restrittive, in modo da limitare quindi le conseguenze negative e aumentarne quelle positive. Alcuni chiamano tale procedura “metodo del carciofo”,
perché questo può essere annientato spogliandolo gradualmente di una foglia per volta. Ad esempio, la legge abortista potrebbe essere corretta riducendo sempre più l’ampia discrezionalità della madre nella decisione di abortire e aumentando la scarsa tutela del nascituro minacciato. Questa posizione, tipica del cosiddetto cattolico moderato, ritiene che far valere i diritti di Dio nel campo legislativo sia talvolta impossibile oppure dannoso, per cui dimostra scarso zelo per la buona causa e poca fiducia nell’aiuto divino. Inoltre, si corre il rischio di peccare di omissione, rinunciando all’azione moralmente doverosa, col pretesto che impedirebbe di realizzare quella politicamente possibile. Tuttavia, anche questa posizione è moralmente lecita e anzi può essere obbligatoria, se la virtù della prudenza (soprannaturale!) esige di non abolire tutta l’ingiustizia vigente, ma di limitarla gradualmente secondo le concrete possibilità correttive favorite da occasionali contingenze abilmente sfruttate. D’altra parte, san Paolo ha ammonito ad agire “opportune et importune”, ma non “inopportune”, ossia non provocando risultati opposti a quelli sperati.Il paradosso del moderatismo immoderato. Tutto chiaro e scontato, dunque? Le polemiche cui abbiamo accennato all’inizio dimostrano che non è affatto così. La questione non è facilmente risolubile, anche perché qui si tratta non tanto di princìpi assoluti quanto di strategie relative, nella cui scelta influiscono fattori non solo razionali ma anche volitivi ed emotivi. E’ quindi molto importante distinguere bene gli aspetti dottrinali (indiscutibili) da quelli strategici (discutibili) e soprattutto da quelli emotivi (inevitabili ma pericolosi), anche perché talvolta l’emotività pretende di determinare la strategia e perfino la dottrina, rovesciando il retto ordine gerarchico e suscitando incomprensioni e divisioni che danneggiano la buona causa. Innanzitutto, nelle posizioni in campo bisogna distinguere le scelte strategiche dalle manifestazioni emotive dei loro fautori. Spesso la posizione rinunciataria e quella intransigente vengono messe alla pari come se fossero “opposti estremismi” che peccano entrambi d’irrealismo, fanatismo e intolleranza. Bisogna ammettere che talvolta alcuni intransigenti eccedono nello zelo usando un linguaggio aggressivo e scivolando sul piano degli attacchi personali; tuttavia ciò non invalida la loro posizione, che rimane comunque dottrinalmente lecita e strategicamente efficace. Non è corretto bocciare una buona scelta solo perché alcuni suoi sostenitori si comportano in modo intemperante o maleducato; del resto, la morale cattolica ammette l’aggressività e perfino una certa ira, se sono utili alla buona causa e rese inevitabili dalla gravità della situazione. Pertanto, la posizione transigente deve dare per prima il buon esempio di moderazione, facendosi valere mediante argomenti razionali, senza ricorrere a fattori emotivi e allo scorretto espediente di mediare tra pretesi “opposti estremismi”. Tanto più che le divergenze tra transigenti e rinunciatari sono gravi e inconciliabili, perché si basano su un giudizio etico-politico fondato su valori irrinunciabili; invece le divergenze tra transigenti e intransigenti sono lievi e conciliabili, perché riguardano solo la strategia da seguire, ossia i tempi e modi dell’azione opportuna. Di conseguenza, transigenti e intransigenti devono allearsi e collaborare senza problemi contro il loro comune nemico, ossia i rinunciatari fautori del compromesso e della resa. Tutto risolto e pacifico, dunque? Ancora una volta, le polemiche diffuse da internet ci manifestano che non è affatto così. Ad esempio, accade una cosa davvero paradossale. Pur professandosi moderati, alcuni transigenti, spinti da quella faziosità che criticano negli altri, talvolta giungono a denigrare e aggredire chi la pensa diversamente da loro.
Per di più, pur pretendendo di mediare tra gli “opposti estremismi” delle altre due posizioni, questi transigenti attaccano soprattutto gl’intransigenti, ritenendoli più pericolosi degli stessi fautori della legge ingiusta. Alcuni “moderati” infatti accusano gl’intransigenti di suscitare un estremismo eguale e contrario a quello dei “cattolici adulti” e di diventare quindi il vero ostacolo a una pacifica e graduale soluzione del problema; inoltre accusano gl’intransigenti di avere un atteggiamento di superiorità che favorisce la divisione nello schieramento pro vita e pro famiglia e quindi indebolisce la buona causa. Tuttavia, talvolta accade che sono proprio questi moderati-mediatori a peccare di presunzione e di arroganza, perché pretendono di elevarsi al rango di professionisti della buona causa, come se fossero i soli autorevoli e autorizzati a promuovere iniziative in difesa dei valori; inoltre accusano gl’intransigenti di essere dilettanti impreparati e imprudenti colpevoli di “fare male il bene” e li ammoniscono a mettersi alla loro scuola di prudenza per imparare a “far bene il bene”. Se poi gl’intransigenti rifiutano di farsi rieducare dalla scuola transigente, questa tenta con ogni mezzo di denigrarli, isolarli e impedirgli di agire. Ovviamente, questo paradossale moderatismo immoderato, o centrismo estremista, contribuisce a favorire la polemica e la discordia fra i buoni. Tutto questo dimostra che i fattori emotivi influenzano non solo le posizioni “estremistiche” ma anche quella “moderata”, la quale talvolta, non riuscendo a difendere la propria strategia attenendosi correttamente ad argomenti razionali e a toni opportuni, ricorre slealmente a quelli emotivi e inopportuni. Anzi, nella loro ansia d’isolare e neutralizzare gl’intransigenti, talvolta i transigenti cercano di appoggiarsi al comune nemico, smentendo ulteriormente la tesi degli “opposti estremismi”
. Questa innaturale alleanza viene favorita da intellettuali, politici ed ecclesiastici che mirano a ottenere un “onorevole compromesso” con i nemici della vita e della famiglia che permetta di accordarsi su una “soluzione condivisa” che assicuri una “libera scelta” per tutti e in tal modo salvi una traballante “pace sociale” – che però, osservo, io, viene salvata sulla tomba della giustizia e sulla pelle dei più deboli! Tali innaturali alleanze non possono che sconcertare, scoraggiare, dividere e smobilitare i difensori della morale e del diritto cristiano, favorendo quindi i nemici di Dio; e difatti sono alle origini della lunga serie di sconfitte subìte dal mondo cattolico dalla legge divorzista in poi.Il graduale cedimento della posizione “moderata”. Bisogna constatare un fatto innegabile: sotto l’incalzare delle sempre più audaci offensive nemiche, sotto l’influenza di un complesso d’inferiorità verso la fazione libertaria, e sotto l’impulso dei fattori emotivi e delle tendenze opportunistiche, la posizione dei transigenti va diventando sempre più transigente, o meglio va gradualmente adeguandosi a quella dei rinunciatari. Il moderatismo sta scivolando dal rifiuto di abolire una legge ingiusta al rifiuto di correggerla e infine al rifiuto di ostacolarla, fino a giungere alla pretesa di sostituirla con una “meno ingiusta”; ciò che ieri era ritenuto inaccettabile oggi diventa accettabile e domani diventerà doveroso. L’esempio di quello che è accaduto riguardo la legge n. 194 è rivelatore. All’inizio, lo slogan dei transigenti era uguale a quello degl’intransigenti: “no all’aborto legalizzato”; ma poi è degradato in “no all’aborto facile e banalizzato”; poi lo slogan da critico è diventato propositivo, del tipo “difendiamo la 194 da chi la vuole peggiorare”, oppure “regolamentiamo meglio l’aborto”, ad esempio facendo applicare le norme buone della legge abortista, norme che recentemente qualcuno ha osato elogiare come ispirate da abortismo umanitario (!). Continuando su questa china, se domani emergerà il pericolo di una nuova legge che liberalizza completamente l’aborto, c’è da temere che, per tutta alternativa, si oserà proporre una legge più abortista di quella vigente, con la scusa che sarebbe pur sempre meno ingiusta di quella temuta. Anche se questo tentativo dovesse fallire, resterebbe comunque il grave scandalo di un ambiente cattolico diventato promotore attivo di un “abortismo minore”, di una legge intermedia tra gli “opposti estremismi” dell’anarchia abortiva e del proibizionismo antiabortista. In modo analogo, oggi alcuni “moderati” pretendono che, se si vuole evitare il pericolo di una legge che parifichi le convivenze alla famiglia, o che istituisca il liberticida reato di “omofobia”, o che liberalizzi completamente la droga, non bisogna impedire l’approvazione di quelle leggi inutili e anzi dannose (cosa ritenuta impossibile o inopportuna), ma bisogna prevenirle proponendo come alternativa leggi “moderatamente permissive” e “meno inique” di quelle temute. Esageriamo per pessimismo? Non credo: basta constatare che una cosa simile è già accaduta anni fa con la vicenda della legge n. 40. Autorevoli rappresentanti del mondo cattolico, pur potendo porre fine al far west della fecondazione artificiale semplicemente vietandola, preferirono legalizzarla, ossia autorizzarla e regolarizzarla per legge, sia pure limitatamente ad alcuni casi e ad alcune modalità, ad esempio permettendo la fecondazione omologa ma vietando quella eterologa e la selezione embrionale. Incoraggiato da quel primo cedimento, oggi il fronte radicale è riuscito a spingere la Corte Costituzionale a esigere di legalizzare anche quei casi e modalità di fecondazione prima vietati. Eppure oggi alcuni “moderati”, invece di pentirsi di quel cedimento che ha condotto alla sconfitta, osano dire che la nuova situazione esige di far approvare una nuova legge che, pur autorizzando anche la fecondazione eterologa e la selezione embrionale, eviti il pericolo di una liberalizzazione maggiore di quella richiesta dalla Consulta. I fatti accaduti in questi ultimi decenni dovrebbero far capire che il citato esempio del carciofo, gradualmente spogliato delle sue foglie, non raffigura la legislazione ingiusta resa sempre meno ingiusta, bensì quella giusta resa sempre meno giusta, o addirittura quella “meno ingiusta” resa sempre più ingiusta perché sempre più privata delle norme che dovrebbero “ridurne i danni”.
Tutto ciò ha una sua diabolica coerenza: se è lecito non solo tollerare ma anche legalizzare il male minore, ossia le modalità “moderate” di cooperazione al male, perché mai si dovrebbe vietarne le modalità “estremiste”, ossia il male maggiore? Non è più una questione di sostanza, di princìpi e di valori, ma solo di regole, di utilità e di tempo; la coerenza impone che la legge “moderatamente” ingiusta prepari e favorisca l’approvazione di una legge integralmente ingiusta. E così, paradossalmente, il moderatismo dei transigenti finisce col realizzare l’integralismo da loro tanto detestato: solo che è l’integralismo non della giustizia ma dell’ingiustizia! La strategia proposta da certi transigenti somiglia a quella usata da un medico che, invece di salvare la vita di un malato grave sottoponendolo a cure dolorose ma risolutive, lo illude di poter guarire senza subire traumi usando medicine che si limitano a “ridurre i danni” del male, o addirittura palliativi che ne allievino i sintomi. Ovviamente, quel povero paziente finirà col peggiorare gradualmente fino a morire, forse senza soffrire, ma anche senza rendersene conto del pericolo e senza potersi salvare ricorrendo a una terapia risolutiva. Un tal medico, lo giudichereste forse un serio professionista da preferire ai dilettanti della medicina?
Alcune condizioni della vittoria possibile. Nonostante tutto, la battaglia per la vita e per la famiglia può ancora essere vinta. Ma ciò avverrà solo se il mondo cattolico abbandonerà la prospettiva della mera “testimonianza” per ricuperare quella della crociata; se smetterà di farsi illusioni sulla buona fede del nemico e sulla possibilità di “regolamentare” il male; se smetterà di porre la verità al servizio dell’unità ma al rovescio porrà l’unità al servizio della verità; se subordinerà la strategia graduale e moderata all’ottenimento del fine integrale ed estremista. Il che a sua volta presuppone alcune precise condizioni. Ad esempio, bisogna rinunciare ai personalismi e alle faziosità, che pongono questioni private davanti al bene comune e spingono i cattolici a schierarsi per questioni di clientela e di bandiera invece che di verità e di efficacia. Gli attacchi personali o le animosità faziose dividono il fronte, compromettono la santità della battaglia e impediscono la vittoria. Da una parte, alcuni intransigenti abbiano la prudenza di temperare il loro zelo troppo aggressivo, sia per distinguere tra ciò che è obbligatorio e ciò che è opinabile, sia per distinguere tra l’azione e l’agente, in modo da non mancare di carità verso chi difende la buona causa comune. Dall’altra parte, però, i transigenti facciano un serio esame di coscienza, per evitare che il loro moderatismo e gradualismo li conducano alla perdita d’integrità e di coerenza e alla complicità col nemico. Nell’esercito ci può essere un’avanguardia e una retroguardia che combattono in tempi e modi diversi, ma l’una non può delegittimare e ostacolare l’altra dividendo il fronte e allontanando la vittoria, tantomeno può accordarsi col nemico assicurando la sconfitta. E’ noto l’aureo motto: “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas”. Stiamo dunque bene attenti a non elevare ciò che è dubbio al livello di ciò che è necessario, ma anche a non abbassare il necessario al livello del dubbio e a non strumentalizzare la carità per favorire l’omissione di soccorso, il compromesso col male e la complicità col nemico.
Infine, bisogna impostare la battaglia pro vita e pro famiglia secondo una prospettiva adeguata e coerente, sia nelle argomentazioni che nel linguaggio, per rompere quel complesso d’inferiorità e quella sudditanza psicologica che favoriscono la confusione intellettuale e il compromesso morale tanto utili al nemico. Ad esempio, bisogna evitare quelle tipiche autogiustificazioni preventive che presuppongono e svelano un complesso d’inferiorità verso il nemico o un timore di offendere il male; alludo a premesse inopportune, del tipo: “non colpevolizziamo le donne che abortiscono”, “non deludiamo chi desidera un figlio mediante fecondazione artificiale”, “non accusiamo i divorziati risposati”, “non discriminiamo le coppie conviventi”, “non pecchiamo di omofobia”, etc. Queste patetiche autogiustificazioni danneggiano la coerenza e la combattività dei buoni, pertanto non ammansiscono il nemico ma anzi lo incitano a infierire audacemente approfittando della debolezza dimostrata dal nostro imprudente “buonismo”. Ad esempio, è sbagliato definire come “umanitaria” quella parte della legge n. 194 che, dovendo in qualche modo regolamentare l’organizzazione dell’aborto, era obbligata a limitarne la portata e l’esecuzione; anche il crimine deve darsi qualche regola organizzativa, se vuole ottenere risultati. Del resto, se la legge 194 avesse sancito l’aborto senza limiti e regole, sarebbe stata bocciata dal Parlamento o abrogata da un referendum in quanto anarchica, per cui l’abortismo avrebbe fallito. di Guido Vignelli
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