DOPO LA LETTERA DI NAPOLITANO – Il giurista Giovanni Giacobbe ricorda come la Costituzione italiana consideri “inviolabile il diritto alla vita”. Da qui si può partire per scegliere, come unanimemente sostiene il mondo cattolico, la strada dell’acccompagnamento dei malati terminali. Dal neurochirurgo Massimo Gandolfini dubbi sulle cifre dei suicidi per malattia. Paola Ricci Sindoni (Scienza & Vita): “Non aprire a derive eutanasiche”
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Accompagnare i malati terminali stando loro accanto fino agli ultimi momenti. Il che è ben diverso dal dare loro la morte, che non è mai “dolce”. Perché, in fondo, è vero che c’è una malattia che spinge a chiedere il “suicidio assistito”, o a togliersi la vita, ma da questa si può guarire: è la solitudine, l’abbandono di chi è anziano o malato. È unanime l’analisi del mondo cattolico di fronte alla questione del “fine vita”, tornata di attualità dopo la lettera del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a Carlo Troilo, consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni, che ha vissuto il suicidio del fratello, malato terminale di leucemia. “Il Parlamento – ha scritto Napolitano – non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere ‘un sereno e approfondito confronto di idee’ su questa materia”. Nell’anniversario della morte del fratello, Troilo ha convocato una conferenza stampa chiedendo tra l’altro di riprendere l’esame dei progetti di legge sul “fine vita”.
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Combattere la solitudine. “Il problema del ‘fine vita’ è delicato, ma dev’essere affrontato nel panorama della medicina palliativa e non sopprimendo la vita del disabile”, esordisce Massimo Gandolfini, neurochirurgo e presidente della sezione lombarda dell’Associazione dei medici cattolici (Amci), interpellato dal Sir a proposito della lettera del Capo dello Stato. Un appello del quale, secondo Gandolfini, “non c’era bisogno”, perché sembra riaprire strade eutanasiche. Invece, sottolinea, “occorre prendersi cura di tutti, aiutandoli e accompagnandoli serenamente fino al momento della morte naturale”. Il neurochirurgo nutre dubbi circa i dati diffusi relativamente ai malati che si tolgono la vita – un migliaio ogni anno -, “ma comunque – aggiunge – questi indicano persone che vivono una situazione di solitudine e abbandono tale da indurre al gesto estremo”. Ecco dunque che “dobbiamo prenderci cura di loro, ma non certo provocandone la morte”. Inoltre, aggiunge il medico, “c’è l’assoluta evidenza scientifica che soggetti fortemente disabili, in stato vegetativo, conservano comunque una forma di coscienza interna: non sono cioè pezzi di legno o vegetali, ma persone che hanno bisogno di un accudimento costante”.
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Confronto senza pregiudizi. Per l’Associazione Scienza & Vita “si può assolutamente e in serenità riflettere sul ‘fine vita’ e su come accompagnare i malati terminali nelle ultime fasi della loro esistenza; diverso, però, è parlare di eutanasia”. A sottolinearlo è la copresidente dell’Associazione, Paola Ricci Sindoni, docente di Filosofia morale all’Università di Messina, che chiede di “distinguere tra accanimento terapeutico ed eutanasia”, come pure tra quest’ultima e il “fine vita”. “Se c’è una scelta precostituita – osserva – ed è quella di voler sopprimere il malato, allora ci troviamo in difficoltà nel confrontarci serenamente. Mentre non ci sottraiamo a un confronto senza pregiudizi circa una fase così delicata della vita umana”. Premesso che “la vita è indisponibile”, Ricci Sindoni condivide l’importanza di “continuare a curare e accompagnare il paziente, anche quando non può più guarire”, mentre troppo spesso, ancora oggi, negli ospedali e non solo, “i malati vengono lasciati soli, nell’indifferenza generale”. Eppure, rileva la presidente di Scienza & Vita, “sono tanti i mezzi già presenti e semmai da valorizzare per dare un giusto accompagnamento, a partire dal rafforzamento dell’assistenza domiciliare, da un adeguato supporto psicologico ai malati e ai loro familiari, dalle terapie contro il dolore, fino alla valorizzazione del volontariato ospedaliero”.
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Seguire la Costituzione. L’esortazione di Napolitano “si può prestare a una valutazione politica: in questo momento ci sono problemi più pressanti, come il diritto al lavoro e la sopravvivenza di chi non ha i mezzi per il proprio sostentamento”, osserva il giurista Giovanni Giacobbe. È però anche vero che “il Presidente della Repubblica non prende una posizione netta, ma si limita a esortare il Parlamento ad affrontare un problema che, comunque, esiste”. A escludere l’eutanasia, d’altra parte, basterebbe già la Costituzione, laddove – osserva il giurista – “considera il diritto alla vita tra quelli inviolabili e, quindi, preclude una normativa che preveda atti volti a sopprimere un essere umano”. “Ben venga perciò un confronto di idee – conclude – che sia rispettoso del dettato costituzionale. Perché è qui il punto nodale: non farne una questione ideologica, ma di stretta osservanza della Costituzione”.
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Francesco Rossi per Agenzia Sir
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