Era partito da Cisterna di Latina portando la musica del suo violino in viaggio per l’Italia, l’Europa e si è spinto molto oltre, in Thailandia, Cina, Stati Uniti. Ma a 36 anni, Diego Fieni di Cisterna di Latina, ha lasciato la carriera da violinista per vestire i panni di prete. Ora la sua strada è quella del missionario e, in seguito alla sua “ordinazione” non vede l’ora di partire per il Perù per “diffondere la parola di Dio”. Il violino non lo abbandonerà, sarà il mezzo per avvicinarsi alle persone oltre le parole. “La mia strada ora – racconta – è quella del Signore”.
Servizio di Bianca Francavilla per Leggo.it
Com’era la tua vita prima di diventare prete?
“Ho avuto un amore a prima vista quando ero molto piccolo per il violino, dalla prima volta che l’ho sentito suonare dal vivo. Dalle scuole medie ho iniziato la formazione musicale e durante il periodo del liceo frequentavo contemporaneamente il conservatorio. Sono stati anni duri, la mattina le lezioni a scuola e il pomeriggio la musica. Ma l’ho fatto con passione. Poi, nel 2003, ho iniziato a lavorare”.
Hai viaggiato molto?
“Si, ho finito il conservatorio e, come violinista professionista, ho avuto la fortuna di lavorare da subito in orchestra e poi da solista. Ho lavorato tantissimo in Italia, poi in Svizzera, in Austria, nei Paesi Bassi, in Francia, in Spagna, in Tailandia, in Cina e negli Stati Uniti. Poi ho pensato, se mi sposo non è che posso viaggiare per tutta la vita. E ho aperto una scuola di musica qui a Cisterna, ma poco dopo ho capito che la mia strada era un’altra”.
Come ti sei avvicinato alla Fede?
“La mia famiglia è sempre stata credente. La parrocchia l’ho frequentata fin da piccolo, ma attorno ai 18 anni ho avuto un periodo in cui l’ho messa in discussione. Poi ho intrapreso una ricerca interiore che ho però messo da parte. Mi sono interrogato se il Signore mi chiedesse di appartenere a lui totalmente, ma mi rispondevo che amavo quello che facevo e la ragazza che avevo accanto, con cui sono stato fidanzato cinque anni e mezzo. La progettualità della vita andava incontro alla direzione di una famiglia”.
Poi, cosa è cambiato?
“E’ stato quando ho conosciuto la Comunità Missionaria di cui oggi faccio parte che ho cambiato visione. Questo aspetto del lasciare tutto e andare in paesi dove il Vangelo non è arrivato mi ha dato la vocazione. Quando il mio fidanzamento è finito e sono stato un anno a cuore libero questa domanda vocazionale è stata più forte. In un meeting per giovani uno degli aspetti affrontati è stato quello delle catene che si possono avere nella vita. Si può essere incatenati per paure, per ferite o per i doni che si hanno. Le qualità che hai possono incatenarti e trattenerti ad una vita, senza permetterti di guardare ad altre possibilità. Mi sono visto come una persona con tanti doni: sarei stato un buon violinista, credo un buon papà. Ma sentivo che c’era la proposta di una vita diversa spesa in una prospettiva di dono totale. E tutto questo è diventato il mio cammino. Mi piace pensare che, da missionario, non porto solo il Vangelo nei luoghi in cui sono inviato, ma assisto anche al suo fiorire nelle nuove culture che incontro e consapevolezze”.
Hai fatto delle missioni prima della scelta definitiva?
“Sono stato in Perù, per poter dire un sì definitivo prima della grande scelta. E il Perù è la destinazione che mi aspetta l’anno prossimo. Starò fuori otto-dieci anni, tornando ogni tre anni circa. Le altre missioni della Comunità Missionaria a cui appartengo sono in altri stati dell’America Latina o in Africa”.
Hai avuto una ‘chiamata’?
“Un giorno di quel meeting di cui ho raccontato prima, durante l’omelia, un Vescovo ha ripreso il passo del giovane ricco; c’è un uomo che si avvicina a Gesù e gli chiede cosa fare per avere la vita eterna (cioè una vita bella, piena di significato). Gesù gli risponde che basta rispettare i comandamenti, ma lui l’ha sempre fatto. Gesù allora gli dice di vendere quello che ha, per darlo ai poveri, e così seguirlo. Ho sentito che quella frase è stata rivolta a me, personalmente. Quelle parole le ho sentite rivolte al mio cuore, come l’apice di un percorso. E queste parole il Signore me le ha riconsegnate, facendomi sperimentare cosa significa ‘vai’, ‘vendi quello che hai, e ‘dallo ai poveri’ e cosa significa ‘vieni e seguimi’. E man mano che vivevo questa vita, mi ci sono riconosciuto”.
Hai sentito mai di aver rinunciato a qualcosa?
“La scelta comporta delle rinunce. La mia come quella di qualunque altra persona. Ma la rinuncia non pesa se sono chiare le motivazioni del perché la si fa. Dico no a qualcosa perché sto dicendo sì ad altro: se scelgo di non avere una donna accanto è per avere un cuore libero di amare tutti”.
Non hai paura di cadere in tentazioni?
“Bisogna essere consapevoli della fragilità che ci caratterizzano, e darsi da fare per rendere sempre più sicura la propria vocazione. Se viene custodita, è Dio che ti custodisce. I padri della Chiesa dicevano: quand’è che le mosche si avvicinano alla minestra? Quando è tiepida, quando è calda no. Se tu tieni il cuore caldo verso l’amore per Dio e per gli altri, ti custodisce per sempre”.
Come l’ha presa la tua famiglia?
“Per fortuna ho sempre condiviso ogni mia fase. Gli ho sempre detto che non scelgo per insoddisfazione. Il dono più bello che ho ricevuto dai miei genitori è stato quando, dopo un anno e mezzo che ero fuori casa li ho rivisti. E loro mi hanno detto: Diego, in questo anno e mezzo che non ci sei stato, siamo arrivati alla conclusione di lasciarti andare. Il Vangelo dice anche di lasciare i figli, per questo ci sentiamo coinvolti in questa tua vocazione e abbiamo scelto di lasciarti andare. Non è solo rispetto di una scelta, ma hanno fatto loro la mia scelta”.
Il violino l’hai abbandonato?
“Fa ancora parte della mia scelta, perché fa parte della mia storia. Essendo parte di me, non ha senso lasciarlo. È ridimensionato il tempo in cui lo suono naturalmente, ma rimane. Quando sono stato in Perù, ad esempio, è stato un mezzo per accorciare le distanze. Avvicinarsi alle persone attraverso la musica che conoscono è un modo per trasmettere un messaggio. È una comunicazione che va oltre la parola. Non ho fatto la scelta di attaccarlo al chiodo per la potenza comunicativa che ha. La missione è fatta anche di gesti e sento che il Signore, attraverso questa scelta, mi ha riconsegnato il violino in una nuova chiave”.
Com’era la tua vita prima di diventare prete?
“Ho avuto un amore a prima vista quando ero molto piccolo per il violino, dalla prima volta che l’ho sentito suonare dal vivo. Dalle scuole medie ho iniziato la formazione musicale e durante il periodo del liceo frequentavo contemporaneamente il conservatorio. Sono stati anni duri, la mattina le lezioni a scuola e il pomeriggio la musica. Ma l’ho fatto con passione. Poi, nel 2003, ho iniziato a lavorare”.
Hai viaggiato molto?
“Si, ho finito il conservatorio e, come violinista professionista, ho avuto la fortuna di lavorare da subito in orchestra e poi da solista. Ho lavorato tantissimo in Italia, poi in Svizzera, in Austria, nei Paesi Bassi, in Francia, in Spagna, in Tailandia, in Cina e negli Stati Uniti. Poi ho pensato, se mi sposo non è che posso viaggiare per tutta la vita. E ho aperto una scuola di musica qui a Cisterna, ma poco dopo ho capito che la mia strada era un’altra”.
Come ti sei avvicinato alla Fede?
“La mia famiglia è sempre stata credente. La parrocchia l’ho frequentata fin da piccolo, ma attorno ai 18 anni ho avuto un periodo in cui l’ho messa in discussione. Poi ho intrapreso una ricerca interiore che ho però messo da parte. Mi sono interrogato se il Signore mi chiedesse di appartenere a lui totalmente, ma mi rispondevo che amavo quello che facevo e la ragazza che avevo accanto, con cui sono stato fidanzato cinque anni e mezzo. La progettualità della vita andava incontro alla direzione di una famiglia”.
Poi, cosa è cambiato?
“E’ stato quando ho conosciuto la Comunità Missionaria di cui oggi faccio parte che ho cambiato visione. Questo aspetto del lasciare tutto e andare in paesi dove il Vangelo non è arrivato mi ha dato la vocazione. Quando il mio fidanzamento è finito e sono stato un anno a cuore libero questa domanda vocazionale è stata più forte. In un meeting per giovani uno degli aspetti affrontati è stato quello delle catene che si possono avere nella vita. Si può essere incatenati per paure, per ferite o per i doni che si hanno. Le qualità che hai possono incatenarti e trattenerti ad una vita, senza permetterti di guardare ad altre possibilità. Mi sono visto come una persona con tanti doni: sarei stato un buon violinista, credo un buon papà. Ma sentivo che c’era la proposta di una vita diversa spesa in una prospettiva di dono totale. E tutto questo è diventato il mio cammino. Mi piace pensare che, da missionario, non porto solo il Vangelo nei luoghi in cui sono inviato, ma assisto anche al suo fiorire nelle nuove culture che incontro e consapevolezze”.
Hai fatto delle missioni prima della scelta definitiva?
“Sono stato in Perù, per poter dire un sì definitivo prima della grande scelta. E il Perù è la destinazione che mi aspetta l’anno prossimo. Starò fuori otto-dieci anni, tornando ogni tre anni circa. Le altre missioni della Comunità Missionaria a cui appartengo sono in altri stati dell’America Latina o in Africa”.
Hai avuto una ‘chiamata’?
“Un giorno di quel meeting di cui ho raccontato prima, durante l’omelia, un Vescovo ha ripreso il passo del giovane ricco; c’è un uomo che si avvicina a Gesù e gli chiede cosa fare per avere la vita eterna (cioè una vita bella, piena di significato). Gesù gli risponde che basta rispettare i comandamenti, ma lui l’ha sempre fatto. Gesù allora gli dice di vendere quello che ha, per darlo ai poveri, e così seguirlo. Ho sentito che quella frase è stata rivolta a me, personalmente. Quelle parole le ho sentite rivolte al mio cuore, come l’apice di un percorso. E queste parole il Signore me le ha riconsegnate, facendomi sperimentare cosa significa ‘vai’, ‘vendi quello che hai, e ‘dallo ai poveri’ e cosa significa ‘vieni e seguimi’. E man mano che vivevo questa vita, mi ci sono riconosciuto”.
Hai sentito mai di aver rinunciato a qualcosa?
“La scelta comporta delle rinunce. La mia come quella di qualunque altra persona. Ma la rinuncia non pesa se sono chiare le motivazioni del perché la si fa. Dico no a qualcosa perché sto dicendo sì ad altro: se scelgo di non avere una donna accanto è per avere un cuore libero di amare tutti”.
Non hai paura di cadere in tentazioni?
“Bisogna essere consapevoli della fragilità che ci caratterizzano, e darsi da fare per rendere sempre più sicura la propria vocazione. Se viene custodita, è Dio che ti custodisce. I padri della Chiesa dicevano: quand’è che le mosche si avvicinano alla minestra? Quando è tiepida, quando è calda no. Se tu tieni il cuore caldo verso l’amore per Dio e per gli altri, ti custodisce per sempre”.
Come l’ha presa la tua famiglia?
“Per fortuna ho sempre condiviso ogni mia fase. Gli ho sempre detto che non scelgo per insoddisfazione. Il dono più bello che ho ricevuto dai miei genitori è stato quando, dopo un anno e mezzo che ero fuori casa li ho rivisti. E loro mi hanno detto: Diego, in questo anno e mezzo che non ci sei stato, siamo arrivati alla conclusione di lasciarti andare. Il Vangelo dice anche di lasciare i figli, per questo ci sentiamo coinvolti in questa tua vocazione e abbiamo scelto di lasciarti andare. Non è solo rispetto di una scelta, ma hanno fatto loro la mia scelta”.
Il violino l’hai abbandonato?
“Fa ancora parte della mia scelta, perché fa parte della mia storia. Essendo parte di me, non ha senso lasciarlo. È ridimensionato il tempo in cui lo suono naturalmente, ma rimane. Quando sono stato in Perù, ad esempio, è stato un mezzo per accorciare le distanze. Avvicinarsi alle persone attraverso la musica che conoscono è un modo per trasmettere un messaggio. È una comunicazione che va oltre la parola. Non ho fatto la scelta di attaccarlo al chiodo per la potenza comunicativa che ha. La missione è fatta anche di gesti e sento che il Signore, attraverso questa scelta, mi ha riconsegnato il violino in una nuova chiave”.
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