Barbara Castelli – Città del Vaticano
“Incalzati da compiti da assolvere, problemi da affrontare, sfide a cui rispondere”, “rischiamo di perdere di vista, o lasciare come sullo sfondo”, “il nostro rapporto personale con Dio”, “prima condizione” per fronteggiare “tutte le situazioni e i problemi che si presentano, senza perdere la pace e la pazienza”. Con queste parole padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, introduce la prima predica di Avvento, alla presenza di Papa Francesco, presso la Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico. Le riflessioni che scandiscono il cammino verso il Natale si propongono, dunque, di essere come “un bagno mattutino di fede, prima di iniziare la giornata di lavoro”.
Il predicatore della Casa Pontificia “lascia da parte” “ogni riferimento a problemi di attualità”, per dedicarsi completamente ai “segnali” del “Dio vivente”, una presenza costante e rassicurante. “Gli uomini del nostro tempo – rimarca – si appassionano a cercare segnali dell’esistenza di esseri viventi e intelligenti su altri pianeti”. “Una ricerca legittima”, pur se “se tanto incerta”; pochi, tuttavia, “cercano e studiano segnali dell’Essere vivente che ha creato l’universo, che è entrato in esso, nella sua storia, e vive in esso”. “Abbiamo il Vivente reale in mezzo a noi – precisa padre Raniero Cantalamessa – e lo trascuriamo per cercare esseri viventi ipotetici che, nel migliore dei casi, potrebbero fare ben poco per noi, certo non salvarci dalla morte”.
Il Figlio di Dio, oltre ogni tempo e riferimento geografico, “promette di dare sé stesso, al di là delle cose spicciole che gli chiediamo, e questa promessa è sempre infallibilmente mantenuta”. “Chi lo cerca – ricorda il cappuccino – lo trova; a chi bussa, lui apre e una volta trovato lui, tutto il resto passa in seconda linea”. Il grido programmatico “Tornare alle cose”, “nell’ambito della fede”, significa “sfondare” “il terribile muro dell’idea che ci siamo fatti” per correre “a braccia aperte” verso il Padre Celeste, scoprendo che “non è un’astrazione, ma una realtà”. “Tra le nostre idee di Dio e il Dio vivo – insiste predicatore della Casa Pontificia – c’è la stessa differenza che c’è tra un cielo dipinto su un foglio di carta e il cielo vero”.
Le riflessioni di padre Raniero Cantalamessa sono costellate di esempi, vite, citazioni di uomini che si sono messi a scrutare l’esistenza, e per taluni la “scintilla” dell’intelletto ha portato “all’illuminazione”: “convertiti, ai quali l’esistenza di Dio si è rivelata improvvisamente, a un certo punto della vita, dopo averla tenacemente ignorata o negata”. Questo è successo, per esempio, al giornalista francese Andrè Frossard, morto il 2 Febbraio del 1995, che improvvisamente ha “aperto gli occhi”, ha avuto “un soprassalto della coscienza”, “accorgendosi di Dio”.
Il cappuccino mette, comunque, in guardia dalla tentazione di imbrigliare il divino in una definizione, pur fondandosi sulla Bibbia. “Quello che possiamo fare – chiarisce – è oltrepassare ‘i tenui segni di riconoscimento che gli uomini hanno tracciato sulla sua superficie’, rompere i piccoli gusci delle nostre idee di Dio, o i ‘vasetti di alabastro’ in cui lo teniamo racchiuso, in modo che il suo profumo si espanda e ‘riempia la casa’”. “Il divino è una categoria assolutamente diversa da ogni altra, che non può essere definita, ma solo accennata; se ne può parlare solo per analogie e per contrapposti”. Un’immagine che nella Bibbia ci parla così di Dio è quella della roccia.
Roccia non è un titolo astratto; non dice soltanto cos’è Dio, ma anche cosa dobbiamo essere noi. La roccia è fatta per essere scalata, per cercarvi rifugio, non solo per essere contemplata da lontano. La roccia attira, appassiona.
Il predicatore della Casa Pontificia conclude la prima predica di Avvento ricordando uno dei momenti di buio e sconforto della vita di san Francesco d’Assisi, “a causa delle deviazioni che vedeva intorno a sé dal primitivo stile di vita dei suoi frati”, e di come venne rianimato dalla certezza che “Dio c’è e tanto basta”. “Impariamo – esorta – a ripetere anche noi queste semplici parole quando, nella Chiesa o nella nostra vita, ci troviamo in situazioni simili a quelle di Francesco. Dio c’è e tanto basta”.
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