Debora Donnini – Città del Vaticano per Vaticannews.va
È a quell’uomo, il Figlio di Dio crocifisso, che oggi si volge lo sguardo dell’umanità. In un tempo in cui siamo morsi da un invisibile “serpente” velenoso, padre Raniero Cantalamessa ricorda nell’omelia che chi guarda con fede Colui che è stato innalzato, “non muore. E se muore, sarà per entrare in una vita eterna”. Esorta quindi a gridare a Dio per chiedergli aiuto, in questa liturgia della Passione, che come gli altri anni si tiene nella Basilica vaticana il Venerdì Santo ed è presieduta dal Papa. Non però presso l’Altare della Confessione sotto l’imponente baldacchino del Bernini, ma presso quello della Cattedra. Non davanti ad una Basilica gremita di persone ma alla sola alla presenza del Papa e di pochissimi fedeli, per le modifiche imposte dalla pandemia di Coronavirus. Uno scenario inedito, dunque, che si riflette nelle parole e nei gesti.
Il risveglio dall’illusione di onnipotenza
All’inizio della liturgia, il Papa si prostra davanti al drappo rosso che copre il Crocifisso miracoloso di San Marcello al Corso, del tardo Trecento, a cui nei secoli i fedeli hanno alzato gli sguardi per ricevere aiuto. Steso a terra completamente, Papa Francesco sembra portare, davvero, tutto il dolore del mondo, a sua volta particolarmente prostrato in questo 2020 dal diffondersi di questo piccolo e invisibile nemico che semina dolore e morte. “La pandemia di Coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità”, cioè “l’illusione di onnipotenza” – dice il frate cappuccino – ricordandoci invece che siamo mortali e che “la potenza militare e la tecnologia non bastano a salvarci”. La sua meditazione sviscera il senso profondo della sofferenza davanti alla quale sorgono i più profondi interrogativi dell’uomo.
Dio piange per il flagello che si è abbattuto sull’umanità
Dopo il Vangelo sulla Passione, proprio per aiutare a entrare in profondità nell’azione di Dio, il predicatore della Casa Pontificia si richiama alla storia del pittore James Thornhill, che per guardare il suo affresco nella cattedrale di San Paolo a Londra, stava per precipitare da un’impalcatura. Per salvarlo un suo assistente lanciò un pennello sul dipinto perché il pittore non indietreggiasse ma facesse un balzo in avanti, e così l’opera fu compromessa ma il maestro si salvò. A volte Dio “sconvolge i nostri progetti e la nostra quiete, per salvarci dal baratro che non vediamo”, nota quindi il frate precisando che “non è Dio che con il Coronavirus ha scaraventato il pennello sull’affresco della nostra orgogliosa civiltà tecnologica”.
Dio è alleato nostro, non del virus! “Io ho progetti di pace, non di afflizione”, dice nella Bibbia. Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori. Sono forse essi più peccatori degli altri? No! Colui che un giorno pianse per la morte di Lazzaro, piange oggi per il flagello che si è abbattuto sull’umanità. Sì, Dio “soffre”, come ogni padre e ogni madre. Quando un giorno lo scopriremo, ci vergogneremo di tutte le accuse che gli abbiamo rivolte in vita. Dio partecipa al nostro dolore per superarlo.
Lasciamo un mondo più ricco di umanità
Nell’omelia padre Cantalamessa annovera anche i frutti di solidarietà e di unione fra le persone che si sono manifestati in questo tempo difficile. “Ci siamo dimenticati dei muri da costruire”, anzi il virus in un attimo ha abbattuto le barriere di razza, religione, ricchezza, potere, rileva, esortando a prestare attenzione alla recessione che dobbiamo temere di più. I morti, il dolore, l’impegno degli operatori sanitari non devono essere stati invano: bisogna quindi dire “basta alla tragica corsa verso gli armamenti”:
Gridatelo con tutta la forza, voi giovani, perché è soprattutto il vostro destino che si gioca. Destiniamo le sconfinate risorse impiegate per gli armamenti agli scopi di cui, in queste situazioni, vediamo l’urgenza: la salute, l’igiene, l’alimentazione, la lotta contro la povertà, la cura del creato. Lasciamo alla generazione che verrà un mondo, se necessario, più povero di cose e di denaro, ma più ricco di umanità.
La preghiera per chi soffre per la pandemia
Un’emergenza che, ancora, viene ricordata nella preghiera aggiunta alle intenzioni universali che il Venerdì santo si levano per la Chiesa, per il Papa, per gli ordini sacri e tutti i fedeli, per i catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli ebrei, per i non cristiani, per coloro che non credono in Dio, per i governanti, per i tribolati. È la preghiera per coloro che soffrono per l’attuale epidemia. Dopo l’invocazione del diacono, forte si leva la voce del Papa:
Dio onnipotente ed eterno, provvido rifugio dei sofferenti, guarda con compassione le afflizioni dei tuoi figli che patiscono per questa epidemia; allevia il dolore dei malati, da’ forza a chi si prende cura di loro, accogli nella tua pace coloro che sono morti e, per tutto il tempo di questa tribolazione, fa’ che ciascuno trovi conforto nella tua misericordia.
L’Atto di adorazione
Poi Il triplice svelamento della Croce precede l’atto di adorazione. Il Papa sosta in preghiera e la presenta all’adorazione dei pochi presenti. E ancora per l’emergenza da Covid-19, lui solo bacia il Crocifisso. E in quel bacio, c’è tutto il mondo. Invocato spesso per chiedere la fine di epidemie a Roma, il Crocifisso di San Marcello al Corso è stato portato in Vaticano, nel pieno di questa crisi, per il momento di preghiera straordinario di due venerdì fa, il 27 marzo scorso, ed è presente nei riti della Settimana Santa in Vaticano.
Risuscitare per una vita nuova
La croce si comprende meglio dagli effetti che dalle cause, sottolineava anche nell’omelia padre Cantalmessa, indicando proprio le conseguenze di pace con Dio che da essa scaturiscono. La croce di Cristo ha, infatti, cambiato “il senso del dolore” dell’uomo perché la sofferenza non è più intesa come un castigo ma è stata redenta perché presa su di sé dal Figlio di Dio. Dio ha bevuto “il calice del dolore fino alla feccia” – dice il frate cappuccino – mostrando che esso non è avvelenato ma in fondo vi è una perla. Così ogni sofferenza diventa una specie di “sacramento universale di salvezza” per il genere umano perché Egli morì per tutti, non solo per alcuni.
Lo sguardo di padre Cantalamessa si volge anche al futuro: al termine di “questi giorni che speriamo brevi – conclude – risorgeremo e usciremo dai sepolcri che sono ora le nostre case”. Ma non – è l’auspicio – per tornare alla vita di prima ma per una vita nuova, come Gesù, una vita più umana, fraterna e cristiana.
Non infatti è Dio a suscitare il male, non è il Padre ad aver voluto la morte del suo Figlio ma permette che la libertà umana e della natura – anche se quest’ultima è qualitativamente diversa dalla prima – facciano il proprio corso. Tutto in quello che alcuni chiamano il caso e che la Bibbia chiama invece “sapienza di Dio”. La liturgia si conclude, dunque, con la Comunione e, infine, l’assemblea si scioglie in quel silenzio che sarà rotto la notte di Pasqua.