Categorie: Italiae et Ecclesia

Dio non propone “contratti” ma scelte

Per rispondere ad una chiamata, è necessario sentirsi piccoli e disposti ad essere considerati tali in tutti i sensi anche dai familiari e dagli amici. Monaci furono il prototipo di vita consacrata 

Quando penso alla Vita Consacrata non riesco a collocarla se non nel contesto di quella mia prima chiamata. Ritengo ancora adesso infatti che tutto sta o cade nella vita consacrata a partire da un primo momento, molto molto personale, che siamo abituati a chiamare “vocazione”. Qualcosa di simile era successo agli Apostoli che Gesù scelse uno per uno chiamandoli per nome e, a qualcuno, cambiandogli perfino il nome a partire proprio da quella scelta fatta unicamente da Lui.

Già, perché – e lo aveva detto chiaramente anche Gesù ai suoi Dodici: “Non siete stati voi a scegliere me, ma sono stato io a scegliere voi”(Gv 15,16). Una precisazione che scardina tutte le nostre presunzioni, ma anche tutti gli interrogativi che, ancora oggi, si pongono certi nostri cosiddetti “giovani adulti” che contrattano la loro scelta di vita come si contratta il prezzo con il commerciante dal quale intendiamo comprare qualcosa. E no. Non si tratta di contratto ma di scelta da accogliere o rifiutare.

E qui si è posti di fronte ad un vero e proprio mistero, il mistero della “vocazione”: “perché ha scelto me e non mio fratello o mia sorella”? A domande simili non so proprio come rispondere se non con le parole con le quali Gesù rispondeva a se stesso nel constatare che gli credevano i piccoli, ma non i grandi; gli ignoranti ma non gli intelligenti; i poveri, ma non i potenti del mondo: “Sì, Padre, perché così è piaciuto a te

”(Mt 11,26). Il che può anche voler dire che, per rispondere ad una chiamata, è necessario sentirsi piccoli e disposti ad essere considerati tali in tutti i sensi anche dai familiari e dagli amici che parlano inevitabilmente la lingua del “mondo”. Ogni scelta è compiuta infatti in base non al merito dell’uno o dell’altro ma in base all’amore che spinge verso l’uno o verso l’altro. Israele che si sentiva un palmo superiore agli altri, a causa dell’elezione, si sentì dire: “Non ti ho scelto perché eri più importante o migliore degli altri, anzi eri il più piccolo e quasi un vermiciattolo” L’amore non si lascia condizionare dai criteri del mondo. Così nasce sempre una “vocazione” alla vita cristiana: Una elezione, una scelta fatta da Dio, perché – e ce lo spiegano gli evangelisti – Lui ha bisogno di collaboratori da inviare a tutte le etnie del mondo per annunziare che il regno di Dio è ormai a disposizione di tutti. Nello scegliere l’uno o l’altro, Dio non fa distinzione di persone, ma invita tutti a fare spazio al suo regno nel loro cuore. Sì, si viene scelti per essere collaboratori di Dio. Lo aveva capito già san Paolo che perciò divenne missionario del Vangelo oltre i confini di Israele venendo gratificato da una raccolta di discepoli talmente straordinaria da costringere gli altri apostoli a prenderne atto fino a cambiare strutture e leggi che fino a quel momento sembravano assolutamente intoccabili.

In realtà dobbiamo constatare che ogni cosiddetto “Fondatore” o “Fondatrice” di un cosiddetto “Ordine religioso” ha di fatto aperto sempre gli occhi dell’intera comunità della Chiesa a scoprire qualcosa di nuovo che stava avvenendo nell’umanità e di fronte al quale non si poteva più restare inermi. Occorreva infatti riconoscere che il mondo stava cambiando e questo cambiamento era un “kairòs”

, cioè un’occasione da non perdere, per orientare in modo diverso l’annunzio del vangelo a favore di un’espansione del regno di Dio, oltre i confini, ancora una volta, del già veduto e realizzato. Si viene invitati così a ripensare non soltanto la vita consacrata, ma la vita e la pastorale della chiesa intera in modo diverso profeticamente immaginato e realizzato, sia pure in piccolo e quasi microscopicamente, da un uomo o una donna dotati del “carisma” della preveggenza o più semplicemente di capacità di lettura “contemplativa” della storia.

Ho utilizzato due parole: “carisma” e “contemplativa” che possono apparire difficili, ma “carisma” indica una dote particolare che caratterizza sempre una persona umana come qualcosa che è insieme singolare e comune, perché ci sono miriadi di “carismi” e tuttavia tutti provengono dall’unico Spirito. Ce lo ha insegnato san Paolo!

“Contemplativa” invece è un aggettivo che viene utilizzato facendolo precedere spesso da “vita” così da poter parlare di “vita contemplativa” da porre a confronto con la cosiddetta “vita attiva”. Chiariamo subito che non si tratta di questo. Ne parleremo in altra occasione. Qui invece si tratta di “contemplativa” intesa come capacità di osservare la storia dell’uomo e l’intera realtà del mondo senza fermarsi alla superficie del mondo o della storia, ma scendendo in profondità, cioè scoprendone l’anima o il senso ultimo. Benigni ci ha detto recentemente, parlando sui Dieci Comandamenti, che sta succedendo oggi qualcosa di grave: a furia di correre verso i beni del corpo stiamo rischiando di perdere l’anima! Una grande intuizione.

Gli iniziatori di una particolare forma di vita cristiana sono stati in realtà proprio un tentativo ripetuto, in modi e tempi diversi, di ridestare la Chiesa, rendendola consapevole che può rischiare appunto di perdere l’anima. A partire dal primo iniziatore: quell’Antonio egiziano di cui abbiamo già parlato e che riuscì ad intuire il grave rischio che correva la Chiesa nel trovarsi di fronte ad una tentazione della fede in qualche modo perfino più grande della precedente, che aveva accompagnato l’”era dei martiri”. L’accondiscendenza di Costantino verso la Chiesa poneva infatti quest’ultima di fronte al grave pericolo della mondanizzazione, cioè dell’appiattimento del messaggio cristiano ai desideri della terra fino al punto da mettere in secondo piano – o addirittura a dimenticarli del tutto – i desideri del cielo, raggiungibili soltanto assumendo sopra di sé il giogo della Croce di Cristo.

E fu la grande indispensabile e altamente provocatoria scelta dei monaci, che furono così determinanti per lunghi secoli nella storia della nostra Chiesa. I monaci furono infatti il prototipo stesso della vita consacrata, perché stabilirono un principio fondamentale determinante non soltanto per loro ma per l’intera comunità ecclesiale, riassumibile in questo loro motto: “Nulla, assolutamente nulla, anteporre all’amore di Cristo”; motto che concretizzava le parole precise di Gesù: “Chi ama il padre, la madre, la moglie, i figli o i campi o la propria stessa vita più di me, non è degno di me” (cfr. Mt 10.37-39). (Guido Innocenzo Gargano, monaco camaldolese, Monastero di San Gregorio al Celio)

Fonte. Roma Sette

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