Cari amici lettori, il Giubileo della misericordia che stiamo vivendo ha nella Quaresima un tempo privilegiato. Lo conferma la celebrazione delle “24 ore per il Signore” che si svolgerà il 4 e il 5 marzo in San Pietro e in tutte le diocesi: è un invito a riscoprire il sacramento della Riconciliazione e a intraprendere un autentico cammino di conversione.
Vi invito a leggere, a questo proposito, la bella intervista a don Luca Ferrari, Missionario della misericordia, tra i curatori del libretto edito dalla San Paolo su questa iniziativa quaresimale.
In questo Giubileo, a furia di parlare di misericordia, si rischia di perderne di vista l’autentico significato, banalizzando il tutto in un facile buonismo. Papa Francesco, nelle sue catechesi, sta cercando di fare chiarezza e di farci comprendere in che senso la misericordia è davvero il cuore del Vangelo. Nell’Udienza speciale di sabato 20 febbraio ha collegato la misericordia con l’impegno, spiegando che si tratta prima di tutto dell’impegno gratuito di Dio nei nostri confronti, da cui deriva la nostra risposta libera e generosa all’amore di Dio.
Ascoltando il Papa mi sono tornati alla mente gli studi biblici di tanti anni fa e in particolare una parola ebraica, berit. È un termine piuttosto frequente nell’Antico Testamento e normalmente viene tradotto con «alleanza», ma alla lettera si tratta piuttosto di un impegno, di una decisione unilaterale. È quella di Dio, che sceglie Abramo e poi il popolo di Israele e dona gratuitamente il suo amore, mediante la promessa della terra e della discendenza. È molto interessante, a questo proposito, il capitolo 15 della Genesi, dove leggiamo dell’alleanza tra Dio e Abramo. Passare in mezzo agli animali tagliati in due era il sigillo del patto, un gesto simbolico che significava: se non rispetto l’impegno mi accada come a questi animali, il mio sangue sia sparso. In verità è solo Dio a passare, impegnandosi così in modo unilaterale e gratuito. Per noi cristiani questa alleanza è culminata in Cristo, che ha sparso davvero il suo sangue sulla croce, diventando così il segno per eccellenza dell’amore infinito di Dio per noi.
Contemplando con commozione la misericordia di Dio che si è rivelata in Cristo, non possiamo che rispondere con l’impegno della nostra vita, convertendo il nostro cuore, amando a nostra volta tutti, soprattutto quelli che hanno sete di speranza e hanno più bisogno, i poveri, i malati, le persone sole. Avviciniamoci a loro, come ci dice il Papa, «con quella carezza di Dio, che è la stessa che lui ha dato a noi».
Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/don Antonio Rizzolo)