Tre ore cosa sono oggi? Cosa ci fai oggi con tre ore? Io abito a Roma e quindi ne tolgo una di traffico per andare a fare quello che devo fare. Ne rimangono due. Togli il tempo di aspettare l’autobus o di trovare parcheggio, ne rimangono una e mezzo. Togli l’attesa – una fila qualsiasi – per fare quello che devi fare, ne rimane una. Con un’ora che ci fai? Un’ora a che serve? Ma anche fossero tre? Facciamo che devo solo salire al piano di sopra per la riunione condominiale. In tre ore alla riunione condominiale non si decide nulla.
Neanche dove mettere la nuova cassetta delle lettere. Tre ore. Se tuo figlio prende quattro a scuola, capirlo con lui quanto ti richiede? Mettici il tempo che te lo confessa (il verbo è giusto, lui la vive come una confessione). Il tempo che ti calmi, il tempo che ascolti tutte le giustificazioni e l’elenco dei voti altrui (solo quelli sotto il quattro, ovvio). Il tempo che chiedi un colloquio all’insegnante e lo ottieni, il tempo che fai la fila per il colloquio, il tempo che ascolti la prof, il tempo che capisci la prof, il tempo che cerchi di capire che dire e che fare tu, genitore. Il tempo che poi torni a casa e lo spieghi al figlio perché ha preso quattro, che poi lo sapevi già: non studia.
E tre ore non bastano. Non bastano neppure per il primo step.
Una giornalista, lodando il divorzio breve, ha scritto: “Ora si attende la trascrizione in anagrafe e tutto sarà finito in un lampo, come quando si dissero «sì»”. Solenne sciocchezza: la giornalista forse non si è mai sposata. Non ci si sposa in tre ore, i tempi burocratici non lo permettono. Per sposarsi, se vuoi fare le cose in grande, ci vuole un anno, festeggiamenti compresi. Se vuoi fare le cose in fretta, senza tanti orpelli, almeno otto giorni per trovare il giorno libero in cui si celebrano i matrimoni e per le pubblicazioni nell’albo della città di residenza, ce li devi mettere. Oggi, tre ore, si può solo divorziare. Un po’ come abortire. Scusate, l’esempio è brutto, so che per la donna abortire è un processo lungo e sofferto. Ma voglio dire che se devi fare un’ecografia in struttura pubblica, la prima ecografia quando aspetti un bambino, l’appuntamento te lo danno quando il figlio sta nascendo. Invece, per abortire, tempo una settimana o poco più e sei sul tavolo operatorio.
Sembra che quando dobbiamo scappare dal dolore (divorzio, aborto) diventiamo tutti veloci. Ma con tre ore non vivi quello che ti succede. Tre ore non sono tempo, ma assenza di tempo. Anche per dirsi “è finita”, ci vuole amore, vita, tempo. Soprattutto per il dolore, per guardarlo e capirlo, per prendergli le misure, ci vuole tempo. Cos’è questa fretta nel pulir via il dolore, la sofferenza? Che poi, con la fretta, non pulisci niente ma metti solo lo sporco sotto il tappeto. Siete mai stati al pronto soccorso con una persona cara? La lunga attesa, no, quella è crudele: però la giusta attesa, sì, ha un suo senso. Vivere il dolore, darsi il tempo di attendere, non è una cattiveria, è necessario per assestare la propria vita sulla lunghezza d’onda di ciò che ti accade. Il dolore è un sintomo. Dice che qualcosa non va: si è rotto, slogato, interrotto, metaforicamente e non.
Stare seduti al pronto soccorso vicino alla barella di chi amiamo, o fuori la porta ad attendere notizie, ti fa vedere quello che non avresti visto, ascoltare quello che non avresti ascoltato, capire quello che non avresti capito.
Che il dolore è un sintomo, e non puoi buttare giù una medicina per non sentirlo più, ma devi darti il tempo di capire, di sentire, di valutare e ascoltare qualcuno che ne sa più di te o qualcuno che è vicino a te. Il tempo della medicina, il tempo della cura e della guarigione, arriva solo dopo. Dopo. Il dolore è un grande momento di verità. Il dolore illumina molto, ti vedi meglio tu e vedi meglio gli altri, forse per la prima volta. In tre ore rischi di dire fine ad una cosa che stava avendo un nuovo inizio o per lo meno la possibile occasione di un nuovo inizio. Fantasie romantiche? Celebrazione del dolore purificante? No, solo tanta vita. Nelle orecchie, nel cuore, in lunghi pomeriggi. Pomeriggi lunghi non di tre ore. Quei pomeriggi che si fa notte. Ad ascoltare chi non ha saputo aspettare e ha buttato via con il dolore la vita che ci stava attaccata. di Mauro Leonardi (Prete e scrittore) Fonte: IlSussidiario
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