«Non si comprende come il matrimonio, celebrato con atto pubblico, possa cessare di produrre effetti mediante il ricorso a una procedura interamente devoluta all’autonomia dei privati, senza l’intervento e l’atto di un giudice». Non sono ancora scoccate le tre di pomeriggio quando il senatore del Nuovo centrodestra, Carlo Giovanardi, parlando davanti alla commissione Giustizia del Senato, addita una delle incongruenze che contraddistinguono le norme e su separazione e divorzio del decreto legge 132, varato dal governo nei giorno scorsi e contenente «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione» e altri interventi (fra cui la dibattuta misura che accorcia le ferie dei magistrati) con l’intento di ridurre l’arretrato giudiziario: oltre 5 milioni di processi pendenti in materia civile.
Dopo l’entrata in vigore del decreto (che dovrà essere convertito in legge entro 60 giorni), magistrati e avvocati matrimonialisti hanno avanzato perplessità sul contenuto delle norme che introducono la «negoziazione assistita da un avvocato» e il cosiddetto “divorzio fai-da-te”. Ora quei dubbi approdano nell’aula della commissione Giustizia del Senato, presieduta da Francesco Nitto Palma (Fi), dove ieri è iniziato l’esame del decreto, facendo registrare le prime divergenze, anche dentro la maggioranza.
Dopo l’introduzione del relatore Giuseppe Cucca (Pd), a parlare è Giovanardi, stigmatizzando il «discutibile ricorso alla decretazione d’urgenza» persino sui «diritti concernenti lo stato di famiglia e le procedure per la cessazione degli effetti civili e lo scioglimento del vincolo matrimoniale». Presupposti costituzionali sui quali la I commissione del Senato ha dato via libera: «Abbiamo ritenuto – spiega Salvatore Torrisi di Ncd – che, vista l’urgenza di ridurre il ponderoso arretrato civile, il ricorso a un decreto sia giustificato».
Dopo Giovanardi, a dirsi perplesso è il senatore forzista Giacomo Caliendo, che negli anni settanta contribuì da magistrato alla giurisprudenza in materia di divorzio: rispetto «alla dissoluzione del vincolo matrimoniale mediante il ricorso a procedure avanti l’ufficiale di stato civile», osserva, non deve essere «snaturato l’istituto del divorzio, alla cui effettiva natura è connesso il ruolo dell’autorità giudiziaria», che «garantisce la congruità e la legalità degli eventuali accordi tra i coniugi separati». Opposta la posizione del Pd, che con Beppe Lumia preme sull’acceleratore, chiedendo che i nuovi istituti introdotti col decreto vengano integrati «con la facoltà di rendere efficace la separazione e il divorzio davanti al solo ufficiale di stato civile».
Ma altre critiche arrivano dal Movimento 5 Stelle, col senatore Enrico Cappelletti che ritiene «difficilmente applicabili» le nuove disposizioni, non in grado di far fronte alla domanda di degiurisdizionalizzazione dei cittadini. In effetti, secondo le stime del Ministero della Giustizia, la negoziazione assistita (su una mole di procedimenti iscritti a ruolo: in media, fra il 2011 e il 2013, 591.654 controversie) andrebbe a incidere solo su 59.756 processi («al netto dei pagamenti di somme superiori a 50mila euro» e dei «casi di separazione e divorzio con figli minori»).
I lavori della commissione proseguiranno la prossima settimana, con l’intento di portare in Aula il provvedimento entro i primi di ottobre.
Nel frattempo, è al vaglio del Senato anche il disegno di legge sul cosiddetto divorzio breve (approvato a giugno dalla Camera), che accorcerebbe i tempi di separazione a un anno per quella giudiziale e a soli 6 mesi per la consensuale, anche in presenza di figli minori. Ma c’è già chi assicura un vaglio senza sconti del decreto anche alla Camera: «Come già fatto per il ddl sul divorzio breve – afferma il deputato Gian Luigi Gigli –, anche su questa parte del decreto i gruppi parlamentari di “Per l’Italia”, pur facendo parte della maggioranza, voteranno contro, nella convinzione che la famiglia non può essere relegata a un fatto strettamente privato».
Articolo originale di Vincenzo R. Spagnolo per Avvenire