Di questi tempi, a causa dell’Isis, si parla molto di schiavitù sessuale sulle donne, di mutilazioni genitali, ma mi accorgo che spesso, quasi per riflesso, si fanno dei distinguo interiori. A seconda che riguardi le ‘nostre’ donne o la ‘nostra’ cultura, vita, nazione, o ‘quelle donne’, ‘quelle culture’, ‘quelle religioni’. È diverso se leggiamo di mutilazioni genitali in Somalia o di una ragazzina somala mutilata nella nostra città. Scatta qualcosa di diverso se leggiamo di una donna italiana rapita e fatta prostituire o se invece l’articolo parla di più di tremila donne vendute nei bazar come schiave sessuali per l’esercito dell’Isis. Diamo per scontato che “Lì succedono certe cose”, ci diciamo che succede “da sempre'”, che “quelli fanno così con le donne”. E in questo modo, anche se leggiamo, troviamo il modo di non leggere più.
Se donne dagli otto ai sessant’anni vengano vendute per essere violentate a vita o vengano mutilate nella loro umanità, è orrore non è cultura. Le culture possono essere diverse, l’orecchino della donna Masai aggiunge solo bellezza, anche se per me è stranezza. L’orrore invece è democratico, è universale, è uguale per tutti. Una donna islamica venduta e torturata e violentata a vita, soffre quanto mia sorella qui in Italia. E se ha otto anni, è una bambina, e si chiama pedofilia. Anche se è una bambina islamica. Lo vogliamo dire? avrei voluto delle riflessioni in tal senso.
Non mi piacciono i commenti di chi dice che la foto non è pertinente e che – pare – la notizia delle mutilazioni genitali non sia del tutto accertata. Mettiamoci la foto di nostra figlia e chiamiamolo orrore, altrimenti la prossima volta che parleremo delle nostrane storie di pedofilia familiare, lo faremo poggiando la tazzina di caffè e non ci indigneremo a sentir dire che sono cose che sono sempre successe nelle famiglie. Che c’è sempre stato lo zio celibe, il prete che allunga le mani, il nonnetto strano o il papà deviato che faceva ‘certe cose’. Certe cose sono l’orrore e quelli non sono ‘strani’ ma sono carnefici.
Se all’orrore non mettiamo una faccia che amiamo, la prossima volta che vedremo una ragazzina che si prostituisce, non ci indigneremo più se qualcuno dirà che “guadagnano un sacco” e che “non le costringe nessuno”. Avrei voluto che qualcuno nel commentare avesse scritto: ehi, qui mancano dei distinguo, nell’orrore ci sono delle differenze. Non sono un ossessivo della precisione ma uno che scrive, e so che le cose hanno un nome e che allora va usato quello: il nome giusto. In certi articoli si parla di donne vendute tra gli otto e i sessant’anni ma, ecco, io specificherei. A otto anni non sei una donna, sei una bambina, e pure a nove, dieci, o undici, non sei una donna. Poi diventi una ragazzina e poi una giovane donna.
No, non va bene che nelle cronache i bambini vengano trattati come adulti. Intendiamoci, non è che se hai quarant’anni soffri meno se ti violentano, non voglio fare una classifica dell’orrore, ma vedo – lo vedo nella vita quotidiana qui in Italia – che la perdita di ‘misura’ nelle parole diventa perdita di misura nei concetti. E da lì il contagio arriva ai comportamenti e alle leggi. E i bambini sono bambini. Pensiamoci. Mettiamogli un volto.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo pubblicato anche sull’Huffingtonpost