«Torniamo a Gerusalemme. La Città Santa è la chiave per la pace in Medio Oriente. Lo è per le sue implicazioni umane, politiche e religiose». In un tempo in cui tutti, leader politici e spirituali, mondo economico e finanziario, seguono con preoccupazione e altrettanto “interesse”, le vicende in Siria e in Iraq, la lotta globale contro Daesh e il terrorismo islamico, è il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal a rimettere al centro di ogni disputa la partita di Gerusalemme che, come è noto, si gioca sul terreno minato di un altro conflitto, oggi forse un po’ accantonato, quello israelo-palestinese. E lo fa incontrando un gruppo di giornalisti della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc) recentemente in Terra Santa per visitare alcuni progetti finanziati dalla Chiesa italiana con i fondi dell’8×1000.
Il nodo di Gerusalemme. «I negoziati tra israeliani e palestinesi – dice – hanno sempre rimandato la questione della Città Santa». Un dialogo che non ha prodotto nulla, al punto da far dire a Twal che «abbiamo dialogato troppo. Sono oltre 30 anni che si dialoga senza nessun esito. Il popolo non vuole sapere di cosa si è discusso ma vedere i risultati, ovvero libertà di movimento, lavoro, sicurezza, dignità, pace. Mai come ora serve logica, cuore e misericordia necessarie per denunciare il male e far prevalere il bene – aggiunge il patriarca latino – solo così possiamo aiutare i due popoli a costruire una cultura di pace. Gli atti di disperazione – sottolinea riferendosi direttamente alle tensioni di questi giorni tra israeliani e palestinesi – non porteranno mai alla fine dell’occupazione. Possono essere casomai il pretesto per Israele per usare ancor più forza. Israele è il più forte, lo sappiamo, ma alla gente disperata non si possono chiedere cose logiche e normali».
«Siamo umiliati». A guardare ciò che accade dentro e fuori la Terra Santa sembra che il tanto impegno profuso dalla Chiesa locale per costruire ponti non serva a nulla. Il pensiero di Twal corre alle 100 scuole cristiane sparse per il Patriarcato, ai suoi 75mila studenti, agli ospedali, alle cliniche, alle case di accoglienza per anziani, disabili e rifugiati, dove la pratica della convivenza e della riconciliazione è uno stile di vita. «Siamo umiliati – racconta il patriarca -, i nostri fedeli ci chiedono i risultati di tanto impegno. Ci domandano “Cosa avete fatto?”. Nulla, viene da rispondere. Siamo frustrati in questo. Ciò che ci consola è che il nostro è un lavoro lungo i cui frutti sono destinati a crescere. Noi abbiamo speranza. Crediamo nell’educazione: quando bambini israeliani e palestinesi, siano essi musulmani, ebrei o cristiani giocano, studiano, mangiano insieme, preparano la convivenza». Per Twal anche la politica è chiamata a fare la propria parte con scelte forti, «per evitare di restare nel campo delle buone intenzioni. Ma con questi politici – dice senza mezzi termini – c’è poco da sperare».
«Domandate pace per Gerusalemme». Pace, lavoro, dignità, giustizia, stabilità, sicurezza: le chiedono anche i rifugiati siriani e iracheni in Giordania, Libano, Turchia. «Sono famiglie che hanno perso tutto: 260mila morti, milioni di sfollati e rifugiati» i cui destini sono legati a quelli dei palestinesi e degli israeliani. «Domandate pace per Gerusalemme»: le parole del Salmo oggi risuonano ancora di più come un grido contro il terrorismo nel mondo. «La comunità internazionale deve farsi un esame di coscienza e ammettere i propri errori», spiega il patriarca allargando lo sguardo al vicino conflitto siriano e a Daesh, il sedicente Stato islamico. «Per il presidente Obama e il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius in Siria si devono aiutare i ribelli moderati. Ma non esistono ribelli moderati. Inutile girarci intorno. Non ci sono carri armati moderati, non ci sono bombe moderate e distruzioni moderate». Né in Siria, né in Iraq. «Ci sono, invece, tanti innocenti che pagano con la vita. Per fare guerra a Daesh servono anche sviluppo, cultura, giustizia, chiese, moschee, politici e istituzioni coraggiose».
«Obama – dichiara Twal – è intervenuto solo perché in ballo vi erano interessi strategici americani. Forse vedere perire le minoranze in Siria e Iraq non era nel suo interesse? Vedere la distruzione di siti storici e archeologici o milioni di rifugiati non era nel suo interesse? Non basta bombardare. Occorre colpire la politica degli interessi, come ricorda il Papa che denuncia la vendita di armi».
Dal luogo dell’agonia. Il prossimo 13 dicembre, a Gerusalemme, presso la basilica del Getsemani, verrà aperta la Porta Santa del Giubileo della Misericordia. «La nostra Chiesa del Calvario non poteva che cominciare il suo cammino giubilare dal luogo dell’agonia di Gesù. Alla sofferenza di Cristo si somma quella di questa Terra, di questa Regione – conclude il patriarca -, la misericordia abbatte i muri, l’odio, l’ignoranza, l’indifferenza, l’insensibilità e il disprezzo. Torniamo a Dio e al rispetto tra noi. Ci sono uomini, donne, bambini, innocenti che non hanno nulla a che vedere con queste guerre».
Redazione Papaboys (Fonte www.agensir.it/Daniele Rocchi)