Per il cristianesimo, la Pasqua è la solennità delle solennità. La festa delle feste per il mondo cristiano. La festa più grande per il cristiano. La Pasqua è il giorno della gioia, del sollievo, del gaudio che sopraggiunge, dopo una fase di dolore e di mestizia. È la dimostrazione reale della divinità di Cristo. È una forza, una energia d’amore immessa, come lievito nella vita dell’uomo o come energia incredibile, che si espande a livelli concentrici fino all’infinito cristico, alimentando e sorreggendo la speranza che anche l’uomo risorgerà, perché le membra seguono la sorte del capo, dal momento che hanno la stessa natura umana (Eb 2, 11).
La Pasqua è la festa solenne per eccellenza; è l’alleluia speciale dell’uomo; è il grido di gioia dell’umanità intera. Il motivo: è il “giorno di Cristo Signore”, Creatore Redentore e Glorificatore di tutto ciò che esiste ed è salvabile; è il giorno della Gloria di Cristo, vero Dio e vero Uomo. È contemporaneamente la Pasqua del Signore e anche “nostra Pasqua” presente e futura. Mistero dei misteri!
Il termine ebraico per Pasqua è pesaḥ (in aramaico pisḥā). L’origine del termine è discussa. Taluni vi attribuiscono un’etimologia straniera, assira (pasahu, “placare”) o egiziana (pa-sh, “il ricordo”, oppure pe-sah, “il colpo”); ma nessuna di queste ipotesi si impone.
La Bibbia collega il termine pesaḥ al vero pasaḥ, che significa sia “zoppicare”, sia “eseguire una danza rituale attorno ad un sacrificio” (cfr. 1Re 18,21.26), sia, in senso figurato, “saltare”, “passare”, “risparmiare”: in questo senso la Pasqua è il passaggio di YHWH che passò oltre le case degli israeliti, mentre colpiva quelle degli Egiziani (Es 12,13.23.27; cfr. Is 31,5). Dai testi biblici emerge anche il significato di pesaḥ come “agnello sacrificato” (per la Pasqua), o più semplicemente “agnello pasquale”. Ciò si evince chiaramente da una corretta traduzione dell’espressione pesah hu lyhwh (“è la Pasqua di YHWH”) che appare in Es 12,11, dove il pronome hu (esso) è riferito al capo di bestiame minuto che doveva essere sacrificato per poi essere mangiato
Nel Nuovo Testamento il termine πάσχα, páscha significa per lo più la festa pasquale ebraica, e come tale appare in Mt 26,2; Mc 14,1; Lc 22,1; cfr. Lc 2,41; Gv 2,13.23; 6,4; 11,55; 12,1; 18,39; 19,14; At 12,4; Eb 11,28).
Altrove il termine indica talvolta la cena pasquale, come in Mt 26,18.19; Mc 14,16; Lc 22,8.9.13. Con il senso di cena pasquale, o meglio di agnello pasquale, si trova nell’espressione “mangiare la Pasqua”, presente in Mt 27,17; Mc 14,12-14; Lc 22,11.15; Gv 18,28. Il senso di “agnello paquale” è invece esclusivo nell’espressione “immolare la Pasqua” di Mc 14,12 (cfr. Lc 22,7) e nel testo di 1Cor 5,7 sul Cristo-agnello.
Gesù, durante la sua vita, celebra la Pasqua giudaica. In occasione di varie celebrazioni pasquali pronunzia parole e compie atti che poco a poco ne mutano il senso:
Crocifisso alla vigilia di un sabato (Mc 15,42 e par.; Gv 19,31), Gesù risorge l’indomani di questo stesso sabato: il primo giorno della settimana (Mc 16,2 e par.). In questo stesso primo giorno gli apostoli ritrovano il loro Signore risorto: egli appare loro nel corso di un pasto che ripete l’Ultima Cena (Lc 24,30.42-43; Mc 16,14; Gv 20,19-26; 21,1-14; At 1,4).
A radice di ciò le assemblee cristiane si riuniscono quindi il primo giorno della settimana per la frazione del pane (At 20,7; 1Cor 16,2). Questo giorno ricevette ben presto un nome nuovo: il giorno del Signore, dies Domini, la “domenica” (Ap 1,10). Esso ricorda ai cristiani la risurrezione di Cristo, li unisce a lui nella celebrazione dell’Eucaristia, li indirizza verso l’attesa della sua parusia (1Cor 11,26).
Oltre alla Pasqua domenicale, c’è pure per i cristiani una celebrazione annuale che dà alla Pasqua giudaica un nuovo contenuto:
In questa notte pasquale che brilla ai loro occhi come il giorno, al fine di preparare il loro incontro nella santa cena Con l’agnello di Dio che porta e toglie i peccati del mondo, essi si riuniscono per una vigilia in cui il racconto dell’esodo è letto loro ad una nuova profondità (1Pt 1,13-21): battezzati, essi costituiscono il popolo di Dio in esilio (1,17), camminano con le reni succinte (1,13), liberi dal male, verso la terra promessa del regno dei cieli.
Poiché Cristo, loro vittima pasquale, è stato immolato, bisogna che essi celebrino la festa non con il vecchio fermento della cattiva condotta, ma con azzimi di purezza e di verità (1Cor 5,6-8). Con Cristo essi hanno vissuto personalmente il mistero di Pasqua morendo al peccato e risorgendo per una vita nuova (Rm 6,3-11; Col 2,12). Perciò la festa della risurrezione di Cristo diventa ben presto la data privilegiata del battesimo, risurrezione dei cristiani in cui rivive il mistero pasquale.
La controversia del II secolo sulla data della celebrazione della Pasqua lascia intatto questo senso profondo che sottolinea il superamento definitivo della festa giudaica.
Per i cristiani il mistero pasquale terminerà con la morte, la risurrezione, l’incontro con il Signore. La Pasqua terrena prepara per essi questo ultimo “passaggio”, questa Pasqua dell’al di là.
Di fatto il termine Pasqua non designa soltanto il mistero della morte e della risurrezione di Cristo, o il rito eucaristico settimanale o annuale, ma designa pure il banchetto celeste verso il quale noi tutti camminiamo.
L’Apocalisse innalza gli occhi dei discepoli verso l’agnello ancora segnato dal suo supplizio, ma vivo ed in piedi; rivestito di gloria, egli attira a sé i suoi martiri (Ap 5,6-12; 12,11). Secondo le sue stesse parole, Gesù ha veramente compiuto la Pasqua mediante l’oblazione eucaristica della sua morte, mediante la sua risurrezione, mediante il sacramento perpetuo del suo sacrificio, infine mediante la sua parusia (Lc 22,16), che deve riunire i suoi per la gioia del banchetto definitivo, nel regno del Padre suo (Mt 26,29).
Redazione Papaboys
Fonte it.cathopedia.org
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