Don Giorgio Costantino, il parroco di Reggio Calabria, aggredito nella notte tra il 24 e il 25 maggio, è tornato nei giorni scorsi in parrocchia. A poco a poco sta iniziando a ristabilire le sue relazioni personali e parrocchiali. Verso gli aggressori, racconta, “mi sono comportato da prete e da cristiano e ho perdonato tutti”. Con un invito, però, alla conversione, “altrimenti non andiamo avanti, anche come Chiesa: predichiamo solo metà Vangelo, non predichiamo veramente la conversione”.
C’è la confezione del nuovo telefonino sul tavolo del soggiorno. Don Giorgio Costantino sta iniziando a prendere confidenza con lo smartphone, quello vecchio è stato ridotto in mille pezzi durante la barbara aggressione subita dal sacerdote nella notte tra il 24 e il 25 maggio. Archiviato il tempo della sofferenza fisica, anche se dovrà essere nuovamente operato, il parroco del Gebbione, popoloso quartiere reggino, inizia a ristabilire le sue relazioni personali e parrocchiali. Da lunedì scorso ha ricominciato a celebrare la messa feriale in parrocchia. La sua gente lo ha riabbracciato, con l’affetto e il calore di chi ha temuto di perdere un padre. Messaggi su WhatsApp, email, sms… don Giorgio scorre sul nuovo schermo i contatti di una vita intera. E racconta all’Avvenire di Calabria e al Sir la notte di quella terribile aggressione.
La piazza del Soccorso non è nuova a episodi di violenza…
C’è sempre stato un caos, fastidioso per tutti, ma nessuno reagiva. Io avevo chiamato tante volte Questura e Carabinieri per denunciare queste cose anche se non formalmente. Però si viveva in questa situazione continua e non era la prima volta che io scendevo per tentare di dialogare con i giovani che stazionavano in piazza.
Questo era il mio scopo e mi domandavo:
“San Giovanni Bosco cosa farebbe in questo momento?”
Ma quando hanno cominciato a guardarmi con un certo sospetto non sono sceso più. Però non potevo lasciare che questa illegalità continuasse sempre.
La via del dialogo non ha funzionato.
Questa gente non è della parrocchia, ma viene da fuori. Occupavano la piazza e hanno addirittura cancellato il nome di “piazza Santa Maria del Soccorso” e hanno scritto “piazza Gebbione”.
Noi non possiamo andare avanti avendo paura di questa gente che prevarica, né scacciando un po’ l’occhio per non avere fastidi.
L’anno scorso hanno scritto sui muri “don Giorgio infame” perché io ho denunciato a giornali e tv l’assalto che c’è stato a Casa accoglienza (la notte del 29 agosto 2016, ndr). Chi cerca di portare avanti la legalità è infame.
Eppure queste persone da una parte vogliono stare insieme con la chiesa, e dall’altra parte stanno contro la chiesa per quello che predica il Vangelo.
Possiamo parlare di una vera e propria delinquenza che però, per certi, versi ha bisogno di una visibilità religiosa?
Certo. Quando il Papa parla di “religiosità esteriore” dice una cosa vera. Lo verifichiamo con le nostre feste, anche con la festa della Madonna della Consolazione.
L’arcivescovo Ferro mi ha inculcato che la festa non è esteriorità, sparare i fuochi pirotecnici, organizzare concerti e cose varie, ma vuol dire imitare Maria come nostro modello di vita. E questo a San Sperato, la parrocchia in cui ho esercitato il mio ministero prima del Soccorso, l’ho trasmesso sin dall’inizio e penso di esserci riuscito. Qui non mi è stato possibile perché ho lottato contro una mentalità arroccata, purtroppo, a certi principi. Però si cerca di lavorare dando sempre il massimo, chiarendo sempre che
la Chiesa sta dalla parte della legalità,
ed esercitando il perdono nei confronti di chi sbaglia.
Lei ha perdonato i suoi aggressori?
Le loro famiglie non si sono comportate bene, hanno fatto dichiarazioni menzognere. Però, sinceramente, mi sono comportato da prete e da cristiano e in questa occasione ho perdonato tutti.
Però perdonare non significa scusare tutto e volersi bene, sorpassando ogni cosa.
Perdonare significa anche dire a questa gente che si deve convertire,
perché altrimenti non andiamo avanti, anche come Chiesa: predichiamo solo metà Vangelo, non predichiamo veramente la conversione.
La comunità parrocchiale le è stata accanto però. Adesso ci si sta organizzando per ripartire.
Sì, stamattina (10 luglio, ndr) i bambini sono venuti in canonica per salutarmi e avere la mia benedizione prima di andare a mare, abbiamo iniziato l’oratorio estivo.
L’anno scorso questa esperienza è stata occasione di educazione alla legalità: i ragazzi hanno ripulito tutta la piazza, hanno rimesso le piantine distrutte e hanno affisso manifesti sul rispetto della natura. Quest’anno, nella gioia, vogliamo dare un messaggio di amore e di felicità ma anche di concordia perché quello che facciamo lo facciamo con un fine educativo, coinvolgendo le famiglie.
Questa parrocchia sta lavorando molto e bene, ma dobbiamo convertirci ancora di più e abbandonare l’esteriorità religiosa: non dobbiamo confondere la festa della Madonna del Soccorso con la statua che ha fatto qualche bravo artigiano.
Anche le istituzioni si sono mobilitate dopo l’aggressione. Lei in ospedale ha ricevuto molte visite.
Anzitutto quelle del vescovo, tantissime. Il prefetto di Reggio, Michele di Bari, è venuto diverse volte a trovarmi e mi è stato vicino insieme al Questore, al comandante provinciale dei Carabineri e della Guardia di Finanza: insieme a loro è venuto anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti, e il presidente della Regione Oliverio.
Io li ringrazio veramente perché sono sicuro che l’hanno fatto col cuore, spero che adesso si provveda a presidiare questa zona.
Molti confratelli vivono la stessa situazione mia: a chi bruciano qualcosa, a chi rubano. La chiesa ortodossa del rione Sbarre è stata vittima di vandalizzazioni continue.
Ho avuto la gioia di sentire dal direttore della Caritas, don Pangallo, le belle parole dette nei miei confronti dall’imam, contento per ciò che la parrocchia del Soccorso fa per la sua gente, soprattutto per gli immigrati. Il bene che seminiamo porta sempre frutto.
(*) direttore “L’Avvenire di Calabria” (Reggio Calabria-Bova)
Fonte agensir.it
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